di Nicola Principi
Gli antibiotici, per quanto scelti con cura
in funzione dell’agente infettivo che si vuole eliminare, hanno tutti una
spettro di attività molto maggiore di quello che servirebbe e finiscono,
inevitabilmente, per agire non sul batterio che causa la malattia ma anche su
quella flora batterica che si trova nel nostro organismo, soprattutto a livello
intestinale, e che viene definita saprofita perché convive con noi senza
procurare alcun danno o addirittura, in certi casi, svolgendo un’azione utile.
L’effetto favorevole di maggior interesse e
anche quello più noto svolto dalla flora saprofita è la produzione di certe
vitamine che integrano la quota normalmente fornita dagli alimenti e permettono
all’organismo di svolgere in modo perfetto alcuni importanti processi
metabolici.
La distruzione, parziale o totale, della
flora batterica può portare a carenza vitaminica e, quindi, alla comparsa di
problemi clinici di grande importanza pratica. Quello che si deve, però,
ricordare, è che il fenomeno insorge solo quando vengono utilizzati antibiotici
molto potenti e, soprattutto, quando la somministrazione di questi farmaci dura
molti giorni.
In pratica, è lecito pensare a una
sostituzione della flora con i fermenti lattici o direttamente alla
somministrazione di vitamine solo in caso di ricoveri ospedalieri per malattie
molto gravi che richiedano terapia protratte per settimane con antibiotici dati
per via endovenosa. Nelle comuni terapie antibiotiche fatte per via orale e che
durano una settimana o una decina di giorni ogni aggiunta è completamente
inutile e serve soltanto a complicare gli schemi terapeutici e ad aumentare il
costo economico della terapia farmacologica.
Un secondo problema legato alla terapia
antibiotica e che porta alla frequente somministrazione di fermenti lattici è
quello legato alla paura che l’uso di certi farmaci possa indurre a livello
della flora batterica intestinale la selezione di un batterio, il Clostridium
difficile, capace di indurre la comparsa di una grave forma di colite, la
colite pseudomembranosa.
È questo un germe molto resistente agli
antibiotici così che, se tutti gli altri della flora batterica intestinale
vengono eliminati, può emergere e occupare tutto lo spazio lasciato dagli
altri, producendo una tossina capace di indurre un importante danno
intestinale. Poiché si è creduto che aggiungendo alla terapia antibiotica i
fermenti lattici questi potessero contrastare la moltiplicazione del Clostridium
difficile, ecco che si spiega un’altra delle ragioni perché molti medici
aggiungono agli antibiotici anche la prescrizione dei fermenti lattici. In
realtà, anche in questo caso, il rischio di emergenza del Clostridium difficile
è strettamente commisurato al tipo di antibiotico utilizzato e alla durata di
somministrazione ed è, quindi, con le comuni terapie, assolutamente ridotto.
In conclusione, i cosiddetti fermenti
lattici, oggi più propriamente definiti come probiotici, non trovano
indicazione, se non eccezionalmente, come terapia di associazione agli
antibiotici per prevenire alcuni degli eventi avversi associati all’uso di
questi farmaci. Possono, invece, trovare indicazione in altre condizioni, quali
la diarrea, ricordando, tuttavia, che non tutti i probiotici sono eguali e che
dovrebbero essere utilizzati solo quelli per i quali esistono precise
indicazioni di efficacia.
Corriere della Sera, 14
marzo 2013,
Nessun commento:
Posta un commento