Le linee Guida per
intervenire la prudenza
di Adriana Bazzi
I dati presentati dal
ministro della Salute Renato Balduzzi sui parti cesarei confermano qualcosa che
già si sapeva: che in Italia una buona quota di questi interventi è
inappropriata. Se il limite che gli esperti considerano accettabile per realtà
come la nostra (dove l’aumento dell’età media della donna o la scarsa
diffusione dell’analgesia epidurale spingono verso la scelta chirurgica) si
aggira attorno al 20 per cento, è ovvio che nelle regioni dove raggiunge
addirittura il 50, come la Campania, c’è qualcosa che non va.
La vera novità del rapporto del ministro sta,
invece, nella diagnosi clinica «inventata» dalle strutture pubbliche e private
convenzionate per giustificare l’intervento: e cioè la presentazione anomala
del feto, che risulta inappropriata nel 43 per cento dei casi. È quanto emerge
dal confronto fra i dati delle cartelle cliniche e quelli delle schede di
dimissione ospedaliera e le discrepanze rilevate fanno ora ipotizzare il reato
di truffa.
Il ministro parla di danni economici per la
sanità pubblica che si aggirerebbero attorno agli 80-85 milioni e si preoccupa
anche di tutela della salute della donna. Perché si sa che, con l’aumentare dei
cesarei, aumenta il rischio di mortalità sia per la madre che per il feto.
Ma dovrebbe anche chiedere alle società
scientifiche perché i loro specialisti non sempre applicano le linee-
guida,
messe a punto dall’Istituto Superiore di Sanità, che stabiliscono, su un piano
strettamente medico, qual è l’approccio migliore da seguire. Oggi il business
della sanità costruisce diagnosi fasulle per giustificare interventi, che
potrebbero essere evitati con un approccio diverso, e incrementa la paura delle
donne che continua a essere uno dei principali motivi per cui ricorrono al
cesareo. Invertire la tendenza non è facile: occorre cambiare l’atteggiamento
culturale di molti medici, organizzare un’assistenza che tenga conto
dell’imprevedibilità del parto fisiologico, smontare i falsi miti come quello
secondo il quale il cesareo sia un tipo di assistenza più moderna e di migliore
qualità.
Corriere della Sera, 19
gennaio 2013, pag, 50
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