L’ipotesi: scelte mediche
ingiustificate per ottenere rimborsi più alti
di Paolo Russo
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«Un falso in atto pubblico», denuncia il
Comandante generale dei Nas, Cosimo Piccino, preannunciando l’invio della
cartelle cliniche sospette alle singole procure per ipotesi di reato che, oltre
al falso, contemplano anche quelle di lesioni personali gravi o gravissime e di
truffa ai danni del Servizio sanitario pubblico. «Il ricorso inappropriato al
cesareo incide pesantemente sulla salute delle donne e forse anche dei
neonati», mette in guardia Balduzzi. La nota del ministero diffusa ieri parla
chiaro: rispetto al parto naturale il cesareo triplica il rischio di decesso a
causa delle possibili complicanze anestesiologiche, la possibilità di subire
lesioni è ben 37 volte maggiore e l’eventualità di incorrere nella rottura
dell’utero in una successiva gravidanza cresce di 43 volte. E poi quasi sempre
quando si ricorre al bisturi la prima volta si continua a farlo anche in
seguito.
Sul sospetto reato di truffa parlano i numeri.
Ad oggi un parto cesareo viene rimborsato 2.458 euro contro i 1.319
di quello
naturale. «Se verrà dimostrato che il 43% dei cesarei è inappropriato
significherà che il servizio sanitario ha sprecato 80-85 milioni», lamenta il
ministro. Che infatti ha già deciso di ridurre a 2.092 euro il rimborso del
cesareo nel nuovo tariffario ospedaliero che a giorni approderà in Gazzetta
Ufficiale. Ma dietro il boom del bisturi in sala parto c’è un altro fattore
economico, secondo gli esperti del ministero, che incide e parecchio. Quello
dei ginecologi che seguono le partorienti privatamente e che con il cesareo
possono programmare la loro presenza in sala operatoria, contribuendo così a
giustificare la parcella. Anche a costo di far correre qualche rischio di
troppo a donna e neonato.
La regione con la
percentuale più alta di parti cesarei è la Puglia
La stampa, 19 gennaio 2013, pag, 12
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