Il profilo degli italiani che credono all’omeopatia


L’indagine Sono soprattutto donne di età media e di buon livello economico

Sette su cento la scelgono abitualmente

di Elena Meli

  Un europeo su due utilizza medicine complementari. E in Europa ogni centomila abitanti ci sono 65 professionisti certificati, medici e non, che le prescrivono: i medici di base sono 95 ogni centomila. Numeri di un boom, riferiti a fine 2012 dai ricercatori del progetto Cambrella dell’Unione Europea, un network per lo studio delle Complementary and Alternative Medicines (da cui «Cam»). I dati, raccolti nell’arco di tre anni, indicano che nel vecchio continente la ricerca sull’argomento latita o non è sufficientemente incisiva; per di più su 39 Paesi solo 19 hanno una normativa sulle terapie complementari ed è impossibile fare un confronto fra i diversi Stati.

  In questa situazione, inevitabile che agopuntura, chiropratica, erbe e simili continuino a far discutere. Anche in Italia, dove un’indagine commissionata dai produttori di rimedi omeopatici ha cercato di fare il punto sull’atteggiamento nei confronti di una delle medicine alternative più diffuse, l’omeopatia. Scoprendo, ad esempio, che a 1 italiano su 10 è meglio non chiedere un parere al riguardo: direbbe che l’omeopatia è acqua fresca, roba da stregoni, da non usare neppure per sbaglio. Altrettanti invece magnificherebbero le doti curative di granuli e globuli, spiegando che si tratta di rimedi perfino superiori ai farmaci tradizionali, che possono risolvere molti problemi di salute. In mezzo agli ostili e agli entusiasti c’è una maggioranza poco informata: 1 su 4 non se ne preoccupa troppo perché comunque non userebbe prodotti omeopatici, altrettanti invece vorrebbero saperne di più per sceglierli più spesso, 1 su 3 li prenderebbe in considerazione ma solo per problemi di poco conto. Lo studio, condotto su oltre mille persone rappresentative della popolazione del nostro Paese, conferma che non pochi si rivolgono all’omeopatia: il 16 % degli italiani lo ha fatto almeno una volta nel corso dell’ultimo anno e il 7% può essere definito utilizzatore abituale perché assume spesso prodotti omeopatici, da soli o in associazione a cure standard. L’identikit del paziente che ha fiducia in questo tipo di medicina? Per lo più si tratta di donne di età media, con un livello socio economico e un titolo di
studio medio-alti.

  «In verità, questa indagine non fotografa il reale bisogno di medicine complementari degli italiani, ma individua chi ha la possibilità di soddisfarlo: oggi di fatto usa l’omeopatia una fascia di popolazione che può avere accesso alle informazioni e può permettersi di pagare da sé i prodotti omeopatici» commenta Simonetta Bernardini, presidente della Società italiana di omeopatia e medicina integrata. In effetti, la maggioranza degli intervistati, pur avendo sentito parlare di omeopatia, non sa davvero a che cosa serva o come funzioni, e vorrebbe capire meglio se, come e per che cosa possano servire i granuli omeopatici; il 35%, inoltre, vorrebbe saperne di più su dati scientifici e sperimentazioni cliniche (sul tema dell’efficacia si dibatte da decenni). Quasi tutti desidererebbero avere informazioni dal proprio medico di base: se fosse il medico di base a prescrivere i prodotti omeopatici, 4 italiani su 10 dichiarano che li prenderebbero.

 «In passato mi arrabbiavo quando qualcuno mi diceva di usare l’omeopatia, oggi credo che il medico di famiglia non possa ignorare questa realtà e debba informarsi, magari non esprimere un giudizio, ma consigliare la cautela sì, soprattutto per le patologie serie: il paziente deve sapere i rischi che corre se abbandona cure di provata validità o se sottovaluta la gravità di certi sintomi — interviene Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società italiana di medicina generale —. I fattori che spiegano il successo delle medicine complementari sono numerosi, a partire dalla convinzione che l’omeopata ascolti di più i suoi pazienti: in realtà la buona medicina tradizionale lo fa e deve farlo, il medico frettoloso non è mai un buon medico. Poi indubbiamente ha un peso la contrapposizione attuale fra i farmaci di sintesi chimica, ritenuti «cattivi» e dannosi, e i prodotti naturali «buoni» per definizione, che sembra non possano far guai perché derivati da piante o altro. E conta anche la comune idea che le aziende farmaceutiche cerchino solo il business. Ma i progressi enormi della medicina degli ultimi 50 anni sono avvenuti anche grazie ai farmaci e oggi per molte malattie una terapia sicura ed efficace costa pochissimo: per curare l’ipertensione o il colesterolo si spendono in media pochi centesimi al giorno. Una cura omeopatica può costare, sempre in media, oltre un euro al giorno».

  Il prezzo delle cure omeopatiche peraltro pare uno dei deterrenti più sentiti dagli italiani: fra chi le usa, 1 su 3 pensa che costino troppo. «È un problema reale, infatti l’omeopatia è più diffusa dove esistono servizi pubblici che la offrono, come in Toscana — osserva Bernardini —. Questa medicina va tuttavia sviluppata a fianco e come complemento della medicina convenzionale. Se i medici si aggiornano leggendo i dati della letteratura scientifica sull’omeopatia cambiano idea, la preclusione spesso dipende da un pregiudizio che è a sua volta frutto di scarsa conoscenza». Magari non tutti i medici la pensano così, ma gli italiani sembrano consapevoli di non poter chiedere miracoli a granuli e compagnia: il 76% ritiene che esistano malattie contro cui l’omeopatia non può far molto, soprattutto cancro, diabete, malattie cardiovascolari e neurologiche. «L’omeopatia dovrebbe servire per la prevenzione primaria delle malattie — interviene Ciro D’Arpa, presidente della Società italiana di medicina omeopatica —. La patologia è la punta di un iceberg. Il prodotto omeopatico può intervenire anche a malattia conclamata, ma non è quella la sua reale funzione: considerando l’individuo nel suo complesso può riconoscere i disturbi del «sistema» e risolverli, dando una maggior qualità di vita ad esempio perché si riduce il numero di tonsilliti in un anno». 

«Non si può chiedere all’omeopatia di fare ciò che non può: si può ricorrere a un rimedio omeopatico prima di passare a un prodotto tradizionale, stimolando l’organismo e le sue capacità di autoguarigione e autoriparazione, ma se non si riesce esistono i farmaci standard — dice Bernardini —. L’omeopatia non può curare un tumore, però può essere associata alle cure convenzionali per ridurre gli effetti collaterali. Non può risolvere certe malattie croniche, ma può diminuire il numero di farmaci da assumere».
  Gli italiani sembrano comunque saperlo: chi usa i granuli lo fa soprattutto per tenere sotto controllo malanni di stagione, allergie o per risolvere piccoli disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico o gastro intestinale.
Corriere della Sera, 20 gennaio 2013, pag, 42 
  

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