La guerra mondiale delle mamme. È la rivincita delle chiocce italiane


COMPETIZIONI DI FAMIGLIA. Il confronto sul «Wall Street Journal»

La gara va avanti da anni. A trionfare nell’educazione dei figli erano cinesi e francesi. Ma adesso gli esperti rivalutano la «morbidezza» mediterranea

di Eleonora Barbieri

  Potrebbe essere l’occasione per gridare vittoria. Il Wall street journal, non certo un quotidiano per femminucce, anzi da squali della finanza (è pure edito dallo Squalo in persona) ha chiarito finalmente chi siano le mamme migliori: le italiane. Per la precisione le italoamericane, ma questo soltanto perché è un giornale anglosassone: le caratteristiche vincenti sono quelle che tutte conoscono, perché se le sentono rinfacciare da una vita, come causa di ogni capriccio e bambocciosità e scarsa competitività e poca voglia di faticare dei loro figli, quelli del cordone ombelicale mai reciso (chiunque non rientri nella categoria, è ovvio, è figlio di alieni sbarcati sulla penisola, perché la generalizzazione è come la candeggina, fa piazza pulita di tutto).
   Il Wsj celebra le mamme italiane perché sono affettuose, generose, accoglienti, amano il oro figlia dismisura, li curano a dismisura, li difendono a dismisura e soprattutto li rimpinzano di cibo succulento. Come nota l’autore del pezzo Joe Queenan, la sua opinione non è che l’ultima nella guerra in corso a livello globale: quale sia la madre migliore, etnicamente parlando. La francese, come sostiene Pamela Dr uckerman nel suo libro Bringing up bebè, frutto di dieci anni trascorsi ad ammirare il savoirfaire  materno delle parigine? Secondo Druckerman dalle francesi una americana come lei deve imparare il lasciar fare ai pargoli (cioè ignorarli, per esempio mentre giocano al parco), la femminilità mai trascurata, magari sculettando coi tacchi a spillo mentre si spinge il passeggino, la severità alimentare, che non prevede deroghe di orario, cibi spazzatura o - orrore - rovesciati sul pavimento. 
O forse la migliore è la cinese, la mamma tigre  auto sponsorizzata da Amy Chua, che come docente di Harvard si trova a toccare con mano pregi e soprattutto difetti dei figli tirati su all’occidentale? La tigre è quella che vieta la televisione, non è felice se il disegno del pargolo non è ben fatto, non lo fa neanche cenare se non e segue l’esercizio al piano forte alla perfezione. È quella che non cresce figli ma carriere, e l’unica parola con la «a» che ammetta in casa sua è ambizione (amore del resto arriva dopo,anche nel dizionario). O magari lo stile materno vincente è quello delle isole Fiji, come sostiene un libro in uscita a primavera? Le «supermamme» del Pacifico sarebbero favorite dal bel tempo perenne: figli sempre all’aria aperta, meno stress in casa. Ma poi ci sono le boliviane di Atahualpa Vargas (come il dio che balla la verde milonga di Paolo Conte, che vada preso sul serio?), le eredi degli inca, stoicamente votate alla prole. E le gallesi che, stando a un altro autore(gallese) avrebbero inventato la maternità contemporanea, perché «tengono la bocca chiusa e non ricordano sempre ai figli quanto sono speciali». Questa è la carrellata - per ora. E qui si capisce come le italiane non possano esultare fino infondo. Del resto se non ci si può fidare dei pediatri o dei sociologi, figuriamoci delle altre madri, la categoria geneticamente più sospettosa, gelosa, attaccata alle propri e convinzioni quanto invidiosa di qualunque  successo delle strategie altrui. Pure il Wsjosser va come il legame fra etnie e doti materne sia labile e le argomentazioni più che altro esempi autobiografici, niente di scientifico.
   E ci mancherebbe. Però a maggior ragione, allora, ognuno può dire la sua, e quindi Joe Queenan ovvero l’eroe delle madri d’Italia dice che lui, potendo scegliere, rinascerebbe italoamericano, per tutto ciò di cui sopra e perché, alla fine, da tanta educazione a pasta e cannelloni e cuore non escono dei mollaccioni: crescono dei pilastri della comunità. Si dirà, rispetto a certe americane alla Katie Holmes che portano le figlie in spiaggia coi tacchi a 5 anni, c’è poco da trionfare. E magari poi, per tornare alle generalizzazioni, non è che tutte le italiane siano uguali. Ma nella guerra senza esclusione di colpi ogni vincitrice è la prossima vittima: quindi, nel frattempo, meglio difendersi. Con artigli da tigre.

il Giornale, 18 febbraio 2012, pag, 20



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