di llaria Nava
Col tempo è diminuito il numero degli aborti,
ma è anche cambiata l’applicazione della legge 194, mai modificata ma
interpretata in modo spesso improprio. A dimostrarlo è anche la recente
sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, su ricorso di una
coppia italiana, ha giustificato la diagnosi preimpianto sull’embrione in base
alla 194 ammettendo, implicitamente, che l’aborto abbia una funzione selettiva
per le condizioni di salute, cosa che la legge però non consente, come ricorda
Lorenza Violini, ordinario di diritto z
La Corte di Strasburgo ha messo in relazione
la diagnosi pre-impianto con l’aborto. È ammissibile la prima per evitare il
secondo?
La connessione è indebita, visto che nel caso
dell’aborto il nostro legislatore ha bilanciato la salute della madre con
quella del feto e ha deciso di sacrificare il feto (ma solo in vista della
salute o della salvezza della madre) mentre la diagnosi pre-impianto mira
unicamente a eliminare i soggetti malati. Non vi è nulla da bilanciare quindi,
e il divieto si giustifica in forza del diritto di chi è malato a essere curato
e non eliminato.
La legge 194 è stata dunque oggetto di
un’indebita interpretazione? Le argomentazioni della Corte europea
rispetto
alla nostra legge più che indebite sono superficiali e non tengono conto del
fatto che ci possono essere discrepanze tra norme emanate in tempi diversi e in
presenza di progressi scientifici meno sofisticati.
La legge 40 sulla procreazione artificiale
vieta la diagnosi pre-impianto, e la 194 non consente l’aborto selettivo, pur
oggi largamente praticato. Qual è la ratio di queste norme?
È la scelta di evitare
derive eugenetiche, tanto vituperate in passato e, soprattutto, di qualificare
la vita diversamente a partire da certe condizioni aggiuntive (vita sana meglio
di vita malata...). Esistenzialmente può essere anche vero ma non lo è rispetto
al valore oggettivo della vita, che "vale" indipendentemente dalle
condizioni in cui essa si svolge.
Esiste
nel nostro ordinamento un diritto al figlio sano? Cosa dice la giurisprudenza
in proposito?
Se esistesse un tale
diritto, se la diagnosi prenatale o pre-impianto fosse sbagliata, la nascita di
un bimbo (malato) dovrebbe essere considerata un danno, una wrongful birth,
come dicono gli inglesi (una nascita "per errore", ndr). Il che è non
solo moralmente ma anche logicamente inaccettabile visto che diventa difficile,
in tal caso, dimostrare che il non esserci è una condizione più favorevole
rispetto all’essere nato. Infatti, ogni diritto comporta, se violato, che siano
risarciti i danni, ma i danni si computano rispetto a una situazione più
favorevole rispetto all’esito del comportamento dannoso. Se nascere malati è un
danno, allora occorre anche affermare che il non essere venuti all’esistenza è
condizione migliore, ottimale. Il che appare assai difficile da sostenere.
LA
DENUNCIA
«ANCORA SILENZIO SUI BAMBINI SALVATI DAL
VOLONTARIATO»
La relazione del Ministero «non tiene conto
della grande quantità di aborti precocissimi causati dalle pillole del giorno
dopo». Lo denuncia il Movimento per la vita, che si chiede «perché non viene
riferito il numero dei bambini sottratti all’aborto attraverso l’intervento dei
consultori e dal volontariato per la vita». Di «ricorso molto limitato» alla
pillola abortiva parla l’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che
nota come sia «concentrato in alcune regioni, le stesse che avevano iniziato a
usare la Ru486 quando non era ancora commercializzata in Italia». Dunque «il
progetto politico di modificare la 194 attraverso una diffusione massiccia
dell’aborto chimico, per adesso, è fallito». Olimpia Tarzia, presidente del
Movimento Politica etica responsabilità, sottolinea invece «l’inadeguata rete
di sostegno e di prevenzione messa in atto dai consultori familiari»
le voci Chi incontra
italiane e straniere che stanno decidendo se abortire riscontra una grande
solitudine. E tra i giovani manca la responsabilità
Avvenire, 10 ottobre 2012,
pag, 3
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