Meno aborti

Accelera la contrazione di un fenomeno che però resta drammatico: in Italia ogni 1.000 nati vivi sono ben 202 le gravidanze spezzate volontariamente, per un terzo da immigrate

di llaria Nava

 Col tempo è diminuito il numero degli aborti, ma è anche cambiata l’applicazione della legge 194, mai modificata ma interpretata in modo spesso improprio. A dimostrarlo è anche la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che, su ricorso di una coppia italiana, ha giustificato la diagnosi preimpianto sull’embrione in base alla 194 ammettendo, implicitamente, che l’aborto abbia una funzione selettiva per le condizioni di salute, cosa che la legge però non consente, come ricorda Lorenza Violini, ordinario di diritto z

  La Corte di Strasburgo ha messo in relazione la diagnosi pre-impianto con l’aborto. È ammissibile la prima per evitare il secondo?  
  
  La connessione è indebita, visto che nel caso dell’aborto il nostro legislatore ha bilanciato la salute della madre con quella del feto e ha deciso di sacrificare il feto (ma solo in vista della salute o della salvezza della madre) mentre la diagnosi pre-impianto mira unicamente a eliminare i soggetti malati. Non vi è nulla da bilanciare quindi, e il divieto si giustifica in forza del diritto di chi è malato a essere curato e non eliminato.

  La legge 194 è stata dunque oggetto di un’indebita interpretazione? Le argomentazioni della Corte europea
rispetto alla nostra legge più che indebite sono superficiali e non tengono conto del fatto che ci possono essere discrepanze tra norme emanate in tempi diversi e in presenza di progressi scientifici meno sofisticati.

  La legge 40 sulla procreazione artificiale vieta la diagnosi pre-impianto, e la 194 non consente l’aborto selettivo, pur oggi largamente praticato. Qual è la ratio di queste norme?

  È la scelta di evitare derive eugenetiche, tanto vituperate in passato e, soprattutto, di qualificare la vita diversamente a partire da certe condizioni aggiuntive (vita sana meglio di vita malata...). Esistenzialmente può essere anche vero ma non lo è rispetto al valore oggettivo della vita, che "vale" indipendentemente dalle condizioni in cui essa si svolge.

  Esiste nel nostro ordinamento un diritto al figlio sano? Cosa dice la giurisprudenza in proposito?

  Se esistesse un tale diritto, se la diagnosi prenatale o pre-impianto fosse sbagliata, la nascita di un bimbo (malato) dovrebbe essere considerata un danno, una wrongful birth, come dicono gli inglesi (una nascita "per errore", ndr). Il che è non solo moralmente ma anche logicamente inaccettabile visto che diventa difficile, in tal caso, dimostrare che il non esserci è una condizione più favorevole rispetto all’essere nato. Infatti, ogni diritto comporta, se violato, che siano risarciti i danni, ma i danni si computano rispetto a una situazione più favorevole rispetto all’esito del comportamento dannoso. Se nascere malati è un danno, allora occorre anche affermare che il non essere venuti all’esistenza è condizione migliore, ottimale. Il che appare assai difficile da sostenere.

LA DENUNCIA

  «ANCORA SILENZIO SUI BAMBINI SALVATI DAL VOLONTARIATO»

  La relazione del Ministero «non tiene conto della grande quantità di aborti precocissimi causati dalle pillole del giorno dopo». Lo denuncia il Movimento per la vita, che si chiede «perché non viene riferito il numero dei bambini sottratti all’aborto attraverso l’intervento dei consultori e dal volontariato per la vita». Di «ricorso molto limitato» alla pillola abortiva parla l’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella, che nota come sia «concentrato in alcune regioni, le stesse che avevano iniziato a usare la Ru486 quando non era ancora commercializzata in Italia». Dunque «il progetto politico di modificare la 194 attraverso una diffusione massiccia dell’aborto chimico, per adesso, è fallito». Olimpia Tarzia, presidente del Movimento Politica etica responsabilità, sottolinea invece «l’inadeguata rete di sostegno e di prevenzione messa in atto dai consultori familiari»

le voci Chi incontra italiane e straniere che stanno decidendo se abortire riscontra una grande solitudine. E tra i giovani manca la responsabilità

Avvenire, 10 ottobre 2012, pag, 3

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