Mamma denunciata a Milano:
per fare la spesa parcheggia le figlie un quarto d’ora. Ma il vero scandalo è
una società che invece di aiutare le madri sa solo creare ostacoli
di Vittorio Feltri
Riassumo la notizia per comodità del lettore.
Una signora va a fare la spesa e si porta appresso, in auto, e tre figliolette:
la più grande di 8 anni e la più piccina di 7mesi. Le sono richiesti pochi
minuti per procedere agli acquisti e lei, non potendo fare diversamente, lascia
le bambine in macchina con i fine strini parzialmente abbassati in modo che
possano respirare. Un passante assiste alla scena e avverte una guardia. La
quale denuncia la donna per abbandono di minori.
Mi
domando: siamo sicuri che sia stata la mamma ad abbandonare le creature o non
sia stata, invece, questa orrenda società talmente disorganizzata da trascurare
le donne con prole? Propenderei per la seconda ipotesi. Mettiamoci nei panni della
suddetta signora. Non ha una baby sitter, non ha una colf, non ha una parente
da cui ottenere il favore di badare alle figlie. Cos’altro avrebbe potuto fare
se non uscire di casa con loro? Non
aveva alternative. Le ha chiuse nella vettura con ogni precauzione e si è
recata a comprare ciò che occorreva (...) alla sua famiglia. Un quarto d’ora ed
è tornata con le borse gonfie di rifornimenti. E si è beccata la denuncia.
Mi auguro che il giudice sia comprensivo.
D’altronde, alle bimbe non è successo nulla, il che significa mancanza di
materia per emettere una sentenza di condanna. Ma il discorso è un altro. A
tutti i livelli si predica quotidianamente che: 1) le famiglie italiane fanno
pochi figli e il Paese invecchia, predisponendosi a essere occupato dagli
stranieri; 2) la percentuale delle donne italiane che lavorano è la più bassa
d’Europa, e ciò è tra le cause principali del nostro dissesto economico.
Osservazioni impeccabili. Che però non
tengono conto della realtà, profondamente trasformatasi nell’ultimo mezzo
secolo: sono mutate la vita, le abitudini e le esigenze delle persone; le città
hanno cambiato volto; le famiglie patriarcali non esistono più; la gente è
stipata - non solo nelle metropoli – in condomini nei quali gli inquilini
neppure si salutano; il mondo si è rivoltato, ma, chissà perché, le strutture
riservate alla maternità e infanzia sono ancora le stesse del Duce, forse
addirittura peggiorate.
Gli asili nido (insufficienti e cari) hanno
orari assurdi: alle 16, massimo 17, chiudono. E se una mamma esce dall’ufficio
alle 18, chi va a prendere il bambino? Idem le scuole materne, elementari e
medie. Lezioni, prevalentemente al mattino, quasi sempre fino alle 13. Già. E
dopo pranzo chi accudisce il ragazzino o i ragazzini? Alcuni istituti privati
offrono il tempo pieno; pieno si fa per dire: alle 16 o alle 17 si sbaracca.
Tra l’altro l’istruzione privata (non solo quella religiosa) è oggetto di
attacchi violenti della sinistra politica, le si negano contributi statali
benché sia assodato che la sua gestione è più economica rispetto al settore
pubblico. Vabbè. Transeat.
Poi ci sono le vacanze: tre mesi, da giugno a
settembre. E dove li metti i pargoli? Ci sono (pochi) luoghi che li ospitano, e
anche quei pochi hanno orari inconciliabili con quelli lavorativi dei genitori.
Che finiscono per impazzire. Sono costretti a mobilitare nonni, amici,
conoscenti, vicini di casa. Non sanno a che santo votarsi nel caso in cui,
frequente, non abbiano qualche volontario cui appoggiarsi per dirigere il traffico
degli infanti.
Viene da domandarsi perché mai a nessuno sia
venuto in mente di adeguare la scuola e le sue regole (ferme al 1950) ai ritmi
vertiginosi della modernità. Non c’è stato un governo, né progressista né
conservatore, che si sia accollato la responsabilità di attuare una riforma
nell’unico campo in cui dovrebbe essere obbligatorio, oltre che conveniente,
l’aggiornamento costante per non perdere competitività nella gara per la conquista
del benessere. Se l’educazione (e la macchina chela impartisce) non si adatta
ai tempi, si produce nella collettività un divario che a lungo andare si
trasforma in handicap per la nazione e i suoi cittadini.
Le donne ormai hanno (giustamente) accesso a
qualsiasi professione, anche quelle tradizionalmente maschili. Nelle università
esse costituiscono la maggioranza assoluta. Ma se, come natura comanda,
partoriscono, non possono contare sul sostegno dei mariti, inclini a scaricare
sulle consorti ogni rottura di scatole, e in generale sono abbandonate dalle strutture
sociali amministrate dalla politica, insensibili alle questioni femminili,
familiari. È una tragedia. Ogni protesta e ogni sollecitazione a porvi rimedio
cadono nel vuoto. I partiti non pensano alle cose serie, ma ai voti e, difatti,
ne rastrellano sempre meno. Badano ad assumere clienti nella burocrazia, a
distribuire pensioni anche a chi non ha mai versato contributi, ad assoldare
migliaia di guardie forestali, a stipendiare quelli dei lavori socialmente
inutili e, comunque, non svolti. S’impegnano a danneggiare il Paese, a
mantenerlo nell’arretratezza. Aumentano le tasse con disinvoltura per
foraggiare l’esercito dei parassiti; ma, se devono spendere per realizzare un
piano che consenta alle donne di vivere decentemente, allora dicono che non ci sono
soldi.
Come non ci sono soldi? Basterebbe non
buttare via risorse in ammortizzatori sociali mascherati in varie maniere
vergognose e investirle, piuttosto, nella realizzazione di opere idonee a
strappare le donne alla frustrazione di dover scegliere tra lavoro
professionale e lavoro domestico. Siamo indietro, troppo indietro. Vogliamo
tanti bambini, ma ce ne freghiamo se le loro mamme sono indotte a lasciarli in
macchina, incustoditi, per comprare la verdura. Anzi, le denunciamo. E magari
le puniamo.
«Ho lasciato i miei figli in auto perché
dovevo fare la spesa». Ma la spiegazione non è servita a evitarle una denuncia
da parte della polizia: abbandono di minori. La donna, 45 anni, ha parcheggiato
il suo su v Volvo X C 70 sul marciapiede di via Caterina da Forlì a Milano, in
divieto di sosta con le quattro frecce accese, e ha lasciato all’interno
dell’abitacolo le figlie di 7 e 8 anni, e la piccola di 7 mesi. Prima di
allontanarsi, ha aperto i finestrini anteriori e una parte di quelli posteriori.
Dopo 15 minuti la donna si è ripresentata con i sacchi della spesa dal mercato
rionale di via Strozzi: «Stiamo per partire, dovevo comprare le ultime cose,
non avevo il passeggino e ho deciso di lasciarle in macchina per alcuni minuti»
s’è giustificata. Inutile.
Il Giornale,19 luglio 2012,
pag, 170
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