“Più nascite significa più crescita”

Intervista a Ettore Gotti Tedeschi, economista
di Giacomo Galeazzi
  Siamo in sette miliardi e cresce la ricchezza: smentite le profezie neomaltusiane sulle catastrofi da sovrappopolazione». L’economista Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior e docente di Etica della finanza all’Università Cattolica, stigmatizza «le tensioni creata sui numeri ». La demografia «è un fattore chiave nella crescita economica e negli equilibri geopolitici. Fra 20 anni quasi la metà del mondo sarà asiatica e un altro 20% sotto la sua influenza».
  Perché vengono «letti male » i numeri? «Il nuovo ordine mondiale è determinato dal differente tasso di natalità e della densità della popolazione. Nel mondo sviluppato gli abitanti sono fermi a 2 miliardi dagli anni Ottanta: si consuma producendo sempre meno e il Pil cresce a debito, in maniera consumistica. Gli altri cinquemiliardi abitano nazioni in via di sviluppo: sono grandi produttori che consumano ancora poco. I Paesi con i maggiori tassi di sviluppo economico e di risparmio sono quelli più popolosi».
Meno abitanti, meno ricchezza?
  «Laddove la popolazione non cresce, il Pil sale aumentando i consumi “pro capite”: si de localizzano le attività
produttive per avere indietro merci a minor costo, diminuiscono i giovani attivi nel lavoro e le giovani coppie che producono figli e risparmio. E i costi fissi aumentano di pari passo all’invecchiamento della popolazione. Da noi negli ultimi 30 anni le tasse sono raddoppiate: dal 25 al 50% sul Pil. Per gli altri cinquemiliardi di abitanti del Pianeta è accaduto l’opposto, così oggi la Cina sostiene con il suo risparmio il debito pubblico americano ed è colonialista. Si compra le aree in cui ci sono materie prime ed esporta manodopera, come i 60mila cinesi del distretto tessile di Prato. La vera causa dell’attuale crisi economica non deriva dall’avidità del sistema bancario, né dalla corruzione dei governi ma dal crollo demografico che ha colpito i Paesi avanzati dagli anni 70. Se si fosse pensato con meno egoismo ai Paesi più poveri, oggi si starebbe tutti meglio. Non è solo un problema di coscienza. Ci sarebbero più ricchezza, cicli economici più equilibrati, maggiore integrazione nella soluzione della crisi, meno sfruttamenti».
Ma non mancherà il cibo?
  «Non esiste un problema di scarsità del cibo, bensì di speculazione sulle materie prime e di cattiva  distribuzione della ricchezza. Nella fascia sub sahariana mancano materie prime e agricoltura e perciò servono giustizia sociale e amore fraterno, ma i poveri che vivono con 500euro al mese ci sono anche in Italia.Non è stata compresa l’importanza della questione demografica. Il benessere esteso all’intera popolazione del pianeta è fattore di equilibrio per tutti. Attraverso la delocalizzazione produttiva in Paesi emergenti come Cina e India, la globalizzazione ha creato benessere in loco, ignorando però altri due miliardi di persone in Africa e America Latina, cioè in Paesi meno attraenti per i nostri interessi economici. Adesso questi Paesi, che hanno preoccupato l’Occidente solo per il loro alto tasso di natalità, vengono “colonizzati” dalle nuove potenze asiatiche che li stanno occupando economicamente».
La Stampa, 5 luglio 2011, pag.17

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