Mamme e lavoro, l'Europa fa scuola. Bergamo è ancora in coda


 Donne al lavoro e madri felici: è possibile anzi auspicabile. In questo l'Europa fa scuola, purché si investa seriamente sulle politiche di conciliazione tra lavoro e famiglia. Eppure l'Italia lo sa e non lo fa. E Bergamo ha un triste primato: il più basso livello di fecondità dell'Italia settentrionale ma anche il più basso tasso di occupazione femminile del Nord del Paese. Si lavora meno e si hanno anche meno figli. Lo ha spiegato con chiarezza Alessandro Rosina, esperto di Demografia alla facoltà di Economia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

«Avere una fecondità vicina ai due figli in media per donna e una occupazione femminile oltre il

60% sono obiettivi compatibili, a patto di investire adeguatamente in servizi di conciliazione» ha spiegato ieri alla sessione «Lavoro, giovani, famiglia: lo sviluppo intergenerazionale» del convegno ecclesiale sul lavoro, guidata da Carlo Dell'Aringa, docente di Economia politica alla

Cattolica di Milano. Lo dimostrano i dati riferiti al rapporto tra fecondità e lavoro in Europa. Ma subito ha aggiunto: «L'Italia è tra i Paesi più lontani da tali livelli, eppure se fosse per i desideri, la volontà e le capacità delle coppie e delle donne italiane li avremmo già raggiunti. Manca soprattutto una politica in grado di sostenere strutturalmente le scelte desiderate e virtuose con ricadute positive per la collettività».



Bergamo in questo rapporto ha un primato in negativo stando agli ultimi dati disponibili: il tasso di fecondità sul territorio è pari all'1,63 (media del numero di figli) contro la media regionale di 1,5. Più alto ma se si toglie la fecondità delle donne straniere il tasso cala all'1,36: il più basso dell'Italia settentrionale. E non certo perché le donne lavorano troppo, anzi. Il tasso di occupazione femminile è intorno al 51,5% contro la media regionale del 57% e con un divario di cinque punti percentuali tra uomini e donne. Con il passare degli anni e l'aumentare del numero dei figli poi sono moltissime le donne che lasciano il posto di lavoro anche qui più della media regionale. «L'occupazione femminile per crescere assieme alla fecondità – ha sottolineato Rosina –, ha bisogno di servizi per anziani non autosufficienti e servizi per l'infanzia. Non solo in termini di copertura ma con adeguati orari, elevata qualità e costi accessibili. Vanno quindi considerati un investimento e non un costo». L'Europa insegna: dove le donne sono più inserite nel mondo del lavoro, ci sono anche più figli purché si investa nelle politiche di conciliazione. E avere più figli significa in futuro poter garantire anche la sopravvivenza dell'intero sistema sociale (e previdenziale).
«Le misure di conciliazione – ha suggerito Rosina – devono essere di ampio spettro e favorire l'impegno dentro e fuori le mura domestiche di entrambi i membri della coppia grazie al potenziamento del part-time reversibile, agli orari flessibili, all'introduzione di un congedo di paternità obbligatorio. L'asilo nido è però uno degli strumenti indispensabili per una coppia di lavoratori che non voglia rinunciare ad avere figli non avendo nonni a disposizione. La decisione di fare un figlio è un atto di fiducia nei confronti della società a cui si appartiene e del suo futuro. La mancanza di politiche adeguate e la scarsa qualità dei servizi pubblici, tradiscono tale fiducia, disincentivano l'assunzione di responsabilità familiari e ne depotenziano il valore». Intanto però alcune imprese hanno sperimentato al loro interno una gestione del personale capace di conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, come ha raccontato Rita Melocchi che dirige con il fratello la Minifaber Spa di Seriate (un'azienda meccanica) ed è presidente della società Servizi Confindustria Bergamo. «Siamo 123 lavoratori di cui il 36,5% donne, la maggior parte madri – ha ricordato partendo dalla propria esperienza personale durante la tavola rotonda di ieri sera –. Negli anni abbiamo introdotto cicli produttivi adeguati alle donne, part time, telelavoro per le neomamme e orari flessibili. Questo ha per l'azienda dei costi di gestione più alti, ma premia nella qualità del lavoro delle donne preziose nel nostro settore. Le aziende bergamasche hanno guardato negli anni sempre con maggior interesse alla conciliazione dei tempi del lavoro e della famiglia anche se la crisi ha inevitabilmente spostato l'attenzione su altro rallentando il processo».

Questo articolo è stato segnalato dall’ostetrica Sara Marchesi

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