Andarci a piedi è meglio

 I bambini e Ia scuola


di Michela Proietti
 

  Col suo bravo Abbecedario nuovo sotto i l b r a cc i o , prese la strada che menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno più bello dell’altro» («Pinocchio», Collodi, 1881).


  Chissà di quanto si sono accorciati quei mille ragionamenti e castelli in aria fatti durante il tragitto da casa a scuola, nella testa dei piccoli dell’era 2.0. Secondo una ricerca Istc-Cnr promossa nel 2013 dal Policy Studies Institute di Londra, i bimbi che alle elementari facevano da soli quel tratto di strada, erano in Italia solo il 7%, contro il 41%
della Gran Bretagna e il 40% della Germania.

  La paura di incrociare «dovunque zingari, strane figure, e lestofanti vari», come ha osservato lo scrittore Antonio Pascale sul blog La 27°ora, unita alla scelta di scuole lontane da casa, solo per il pregio di avere quelle ore di inglese che mancavano alla scuola di quartiere, hanno cambiato identità a un rito dell’età infantile.

  «In trent’anni di lavoro ho assistito all’impigrimento dei bambini e all’imbarbarimento delle mamme», dice Francesca Lavizzari, ex preside dell’Istituto Comprensivo Cavalieri di Milano. Nonostante i pedaggi per il centro, l’abitudine di scortare i bambini fino al portone di scuola non si è persa. «Con un aumento di liti con i vigili e di ansie per i bambini, costretti a subire il nervosismo di mamme sempre di corsa e cariche di sensi di colpa».

Per strada sono andati smarriti gli zainetti pesanti, che oggi paiono quasi poetici («ora sono le mamme iperprotettive a portarli sulle spalle, un’aberrazione») e soprattutto i primi esercizi di responsabilità. «Quando mio figlio ha iniziato ad andare a scuola a piedi, i primi giorni mi nascondevo dietro a un albero: notavo che le distrazioni che mi facevano arrabbiare quando eravamo insieme si dissolvevano se doveva vedersela da solo».

  Basterebbe un solo chilometro tra casa e scuola, per recuperare uno «spazio» libero da distrazioni elettroniche e sedentarietà: i ricercatori dell’Università di Buffalo hanno pubblicato sulla rivista Medicine&Science in ports&Exercise uno studio che dimostra come i piccoli che vanno a scuola a piedi hanno livelli inferiori di stress rispetto ai coetanei che arrivano con l’auto.

  I dati Istat dello scorso anno ci dicono che le cose stanno migliorando, perché oltre un terzo dei bambini italiani va a scuola a piedi: sono il 33,2% fino a 5 anni e il 41,7% tra gli 11 e i 13 anni. Un comportamento più sano, anche dal punto di vista ambientale. Il New York Times, nel 2009, ha elogiato l’iniziativa Piedibus del comune di Lecco, che ha importato, come altri comuni italiani, il modello inventato in Australia nel 1992 dall’ambientalista David Engwicht per promuovere l’esercizio fisico nei bambini: una carovana «umana» che mette in moto muscoli e socialità.

  «In una passeggiata a passo svelto un bambino consuma fino a 70 calorie, un dato da non minimizzare se pensiamo che l’Italia è tra i leader mondiali dell’obesità infantile», osserva il prof. Luca Bernardo, primario di Pediatra al Fatebenefratelli di Milano. Ma più del controllo del peso, conta il movimento dell’apparato scheletrico («non ci sono dati scientifici che lo zaino porti a patologie della colonna») e il recupero delle relazioni. «Molte mamme ritengono che l’autobus sia un modo per socializzare, ma i bambini spesso si isolano con il cellulare. Una passeggiata invece è accompagnata dagli occhi di meraviglia dei bambini: scoprono i colori della natura, i rumori della città e nel cammino incontrano gli amici con cui faranno tanta strada insieme».

  I «nostri» ci vanno meno dei piccoli inglesi (il 7 contro il 41%). Eppure bisognerebbe spingerli a farlo. Perché? Camminare riduce lo stress, fa dimagrire e aiuta a pensare di più


Corriere della Sera, 28 febbraio 2015 

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