Buoni spesa per chi allatta al seno

La scelta che divide gli inglesi


«È diseducativa». «No, risparmiamo prevenendo le malattie»


di Elvira Serra

  Duecento sterline erogate dal governo britannico alle mamme delle zone più depresse del Paese

  Duecento sterline per allattare al seno. Sono duecentotrentasei euro e potranno essere spesi in buoni per i supermercati e i negozi del centro da 1 3 0 puerper e de l South Yorkshire e del Derbyshire che nutriranno i loro bambini con il latte materno fino al sesto mese. Il progetto pilota è dell’Università Sheffield con la collaborazione del governo e ha lo scopo di cambiare l’approccio all’allattamento al seno nelle aree più depresse dell’Inghilterra. Qui le ragazze non solo si vergognano di allattare fuori di 
casa, ma anche in casa, per paura di attirare l’attenzione su una parte del corpo così esposta ad attenzioni di tipo sessuale.

  La notizia, che compare sulla stampa inglese dal Guardian alla Bbc, ha scatenato un dibattito interno, alimentato da chi considera diseducativo dare dei soldi per fare una cosa naturale come nutrire il proprio figlio. Eppure non è la prima volta che il governo dà degli incentivi per correggere comportamenti scorretti, dal fumo all’abuso di cibo. L’esperimento sulle mamme, che se funzionasse sarebbe esteso su scala nazionale, non nasconde però esattamente il desiderio di aiutare chi ha appena partorito. Il Sistema sanitario nazionale risparmierebbe 40 milioni di sterline grazie agli effetti positivi dell’allattamento, che vanno dalla diminuzione di problemi come asma e allergie, al miglioramento delle difese immunitarie e delle capacità visive, oltre alla prevenzione sulla madre per quel che riguarda il tumore al seno. Se si pensa che nelle zone in cui è in corso il
programma soltanto una donna su quattro sta ancora allattando al seno alla sesta-ottava settimana rispetto alla media nazionale del 55 per cento, si capisce perché medici e funzionari siano interessati a portare a termine questa sperimentazione. Per le verifiche ci si affiderà alla autocertificazione e ai controlli delle ostetriche del posto.

  Eppure questo tipo di incentivi non dovrebbero sorprendere. «In Italia al limite te li danno per comprare il latte in polvere», commenta Angela Giusti, ricercatrice dell’Istituto superiore di sanità, referente per quel che riguarda i dati sull’allattamento a seno. Dice: «I veri aiuti andrebbero dati per non lasciare sole le mamme. Ho lavorato per due anni in Francia e avevo 300 euro al mese per ciascuno dei miei quattro figli, oltre all’aiuto domestico. Continuare a lavorare, per me, è stata una scelta». Lamenta la mancanza di un dato unico nazionale, perché non ci sono i finanziamenti pubblici per fare un sistema di monitoraggio serio su questo tema. Dall’ultima indagine Istisan risulta che a pochi giorni dal parto il 91,7% delle italiane e il 90,1% delle straniere allatta al seno. Il quinto Rapporto della Convenzione sui diritti dell’infanzia (2012) calcola che al momento delle dimissioni quelle che nutrono il neonato con il proprio latte superano l’80 per cento. Ma cosa succede dopo?

  Succede che le percentuali crollano. Perché si torna in ufficio e non è semplice avere a disposizione un angolo tranquillo per usare il tiralatte per la poppata successiva. E malgrado le associazioni dei consumatori abbiano calcolato che il latte artificiale costi 1.200 euro l’anno per bambino, e che dunque la soluzione «naturale » sia la più economica, la maggior parte delle mamme al terzo mese del pupo è costretta a cedere alla polvere. «Che non sarà mai come il latte materno: quello artificiale è privo della componente anticorpale e del famoso bifido batterio, particolarmente prezioso per l’intestino », spiega la ginecologa milanese Stefania Piloni.

  La rivista pediatrica Archives of Disease in Childwood assicura che il latte, assieme al contatto pelle-bambino, aumenta le facoltà cognitive e migliora lo sviluppo neurologico. L’Oms lo raccomanda come alimento principale fino al sesto mese. Ci sono, tuttavia, anche mamme che non riescono a produrre latte e che per questo si sentono marchiate a vita. Conclude Piloni: «L’importante è che la madre sia felice. Meglio una mamma con il biberon di una che piange mentre allatta».

Corriere della Sera, 13 novembre 2013, pag, 29


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