L’esposizione del feto a eccessivi livelli di ormoni
dello stress è stata collegata ai disturbi dell’umore più tardi nella vita
La vita vissuta nel grembo materno durante i nove mesi
può "programmare" la salute futura del bambino una volta adulto.
E’ quanto suggerito da uno studio presentato
al British Neuroscience Association Festival of Neuroscience (BNA2013) che si
tiene dal 7 al 10 aprile presso il Barbican Centre a Londra.
Si è da sempre pensato che il tipo di vita
vissuta nel grembo materno
potesse avere un’influenza a lungo termine sulla
salute e il rischio di malattie in età adulta. Tuttavia il processo che sta
dietro a questo fenomeno non è mai stato del tutto chiaro. Ma ora gli
scienziati hanno scoperto che l’ambiente materno può avere profonde conseguenze
sulla vita del nascituro.
La professoressa Megan Holmes,
neuroendocrinologo presso l’Università di Edimburgo/British Heart Foundation
Centre for Cardiovascular Science in Scozia (Uk), e colleghi, hanno
identificato un enzima, noto con il nome “11ß HSD2” (11beta-deidrogenasi di
tipo 2) che, a loro avviso, ha un ruolo chiave nel processo di programmazione
fetale. La “programmazione fetale” è quel concetto che identifica le malattie
negli adulti che hanno avuto origine grazie a una programmazione avvenuta
durante i mesi della gravidanza.
Sarebbe dunque un ambiente divenuto ostile
per il feto a innescare alcuni processi che poi si manifestano anni più tardi.
Se per esempio la madre vive eventi stressanti come un lutto o un abuso,
nell’organismo aumentano i livelli di glucocorticoidi – detti anche
ormoni
dello stress – che, sebbene siano prodotti naturalmente dal corpo, possono
danneggiare il feto.
«L’ormone dello stress cortisolo, può essere
un fattore chiave per la programmazione del feto, del neonato o il bambino, al
rischio di malattia in età adulta – ha spiegato la professoressa Holmes nel
comunicato BNA – Il cortisolo provoca una crescita ridotta e modifica i tempi
di sviluppo del tessuto, oltre ad avere effetti di lunga durata sulla
espressione genica».
L’enzima 11ß HSD2, identificato dai
ricercatori, è in grado di trasformare il cortisolo in una forma inattiva,
prima che questo possa causare danno al feto che si sta sviluppando nel grembo
materno.
E’ un enzima che si trova naturalmente nella
placenta e durante lo sviluppo del cervello nel feto. Gli scienziati ritengono
che 11ß HSD2 agisca come scudo per proteggere il nascituro dall’azione dannosa
del cortisolo.
In questo studio, condotto su modello
animale, i ricercatori hanno utilizzato un gruppo di topi geneticamente
modificati per non avere l’enzima 11ß HSD2. Lo scopo era osservare gli effetti
dello stress senza la protezione dell’enzima.
«Nei topi privi dell’enzima 11ß-HSD2, i feti
sono stati esposti ad alti livelli di ormoni dello stress. La conseguenza è
stata che questi topi hanno mostrato una ridotta crescita fetale e hanno
continuato a mostrare disturbi dell’umore in età avanzata – ha dichiarato
Holmes – Abbiamo anche trovato che le placente di questi topi erano più piccole
e non trasportavano le sostanze nutrienti in modo efficiente a tutto il feto in
via di sviluppo. Anche questo potrebbe contribuire agli effetti nocivi
dell’esposizione a un aumento dell’ormone dello stress sul feto e suggerisce
che lo scudo del 11ß-HSD2 nella placenta è una barriera importante».
«Tuttavia – prosegue Holmes – i nuovi dati
preliminari mostrano che con la perdita della barriera protettiva del 11ß-HSD2
solo nel cervello, la programmazione del feto in via di sviluppo si manifesta
lo stesso, e nonostante. Ciò fa porre
domande su quale sia il ruolo dominante svolto dalla barriera placentare di
11ß- HSD2. Questa ricerca è attualmente in corso e non è ancora possibile
trarre conclusioni definitive».
«Determinare gli esatti meccanismi molecolari
e cellulari che guidano la programmazione fetale ci aiuterà a identificare
potenziali bersagli terapeutici che possono essere utilizzati per invertire le
conseguenze deleterie sui disturbi dell’umore. In futuro, speriamo di esplorare
il potenziale di questi obiettivi in studi negli esseri umani», ha concluso
Holmes.
La Stampa, 9 aprile 2013,
pag,
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