Sordi alla nascita quel test che divide l’Italia


Udito

Una diagnosi ritardata impedisce lo sviluppo del linguaggio. Record di casi in Sicilia dove solo il 15% di bimbi è sottoposto all’esame

di Annamaria Messa

  Pochi secondi e un test semplice (Oae, emissioni Otoacustiche), economico (13,32 euro), non invasivo, per salvare un bimbo dalla sordità profonda alla nascita. Un handicap socialmente devastante perché chi non sente non impara neanche a parlare. È il difetto sensitivo ereditario più frequente nei neonati (2/1.000), prevale rispetto ad altre patologie congenite (per le quali i neonati sono già sottoposti a screening) come la fenilchetonuria (1/10.000 nati) e l’ipotiroidismo congenito (1/3000 nati). Con diagnosi e riabilitazione precoci il futuro è migliore pure per i circa 500-750 bambini ipoacusici (1/1.5 per mille nati) che ogni anno nascono in Italia. Anche sentire meno (ipoacusia) durante i primi anni di vita interferisce con lo sviluppo del linguaggio, con la crescita della corteccia uditiva cerebrale, lo sviluppo sociale, emotivo, cognitivo del bambino.

  Accorgersi nei primi giorni dei problemi uditivi del neonato serve per scongiurare tutto questo avviando tempestivamente un “ponte” con i suoni del mondo. O un monitoraggio nei primi tre anni di vita per accertare esistenza ed entità del deficit. Ancora troppo spesso però la diagnosi avviene perché la mamma se ne accorge quando il bimbo ha tra 11 e 24 mesi o, se la sordità è lieve o moderata, quando va a scuola.

 Convalidato in tutto il mondo, lo screening neonatale in Italia non è ancora regolamentato da una direttiva nazionale, l’inserimento nei Lea insabbiato dalla burocrazia e dalla mancanza di fondi del ministero della Salute. Affidato alle singole Regioni il test si è diffuso con lentezza e difficoltà. Nel 2011 è stato sottoposto a screening uditivo alla nascita l’80% dei neonati italiani, con una copertura superiore al 95% in dodici regioni (Liguria, Lombardia, Piemonte, Val d’Aosta, Veneto, Friuli, Emilia, Toscana, Marche, Umbria, Molise, Campania) su 20. Sono i primi risultati della ricerca diretta da Luciano Bubbico, otorino, referente osservatorio disabilità del dipartimento di Scienze biomediche Isfol — Istituto italiano medicina sociale.

  Nelle sette regioni dotate di specifiche linee guida si è passati in due, tre anni dal 30-40 al 100% di bambini sottoposti a screening. «Ma ancora più di 100.000 neonati non hanno eseguito il test. C’è tanto lavoro da fare nelle regioni in cui lo screening stenta a decollare — precisa Bubbico — come Basilicata, Calabria e soprattutto Sicilia, dove il tasso di sordità è altissimo, da sette a dieci volte superiore alla media nazionale, per la presenza sul territorio di mutazioni genetiche legate all’alto numero
di matrimoni tra consanguinei del passato. Nelle isole la diffusione è inferiore al 30%».

  Con l’obiettivo di unire le eccellenze cliniche regionali i ricercatori puntano a costruire un registro nazionale sordità che coordini l’andamento dello screening nei centri di neonatologia. Servirà anche a permettere diagnosi e trattamento idoneo a tutti i neonati, evitando costosi viaggi verso regioni all’avanguardia. In  progetto anche una banca dati genetica. «I recenti progressi nella genomica umana — conclude Bubbico — hanno portato all’identificazione di numerosi geni difettosi che causano sordità, il futuro sarà basato sul trattamento genetico».

la Repubblica, 5 marzo 2013, pag, 33

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