di Maria Corbi
Sempre più giovani si
preparano per quando avranno una vita stabile
Si chiama «social egg
freezing», congelamento sociale degli ovociti, ed è la nuova arma anti
infertilità usata dalle donne che vogliono rimandare, spesso oltre gli anta, il
momento di diventare mamme. E allora la scienza viene loro incontro permettendo
di congelare a trent’anni, anche prima, gli ovociti, così che quando poi
decideranno di mettere su famiglia, la percentuale di successo nel rimanere
incinte non sia compromessa dalla data di nascita. Fecondazione artificiale,
ovviamente, in vitro.
Non è solo un capriccio, il
desiderio di prolungare una stagione spensierata di singletudine o di vita a
due, o di spingere sulla carriera. Anzi, spesso è una necessità. Perché i
ritmi, gli stipendi (quando si è fortunate e non precarie o disoccupate) e la
tutela sociale delle donne influenzano maniera determinante la voglia di non
prendersi cura di nessun altro se non di se stesse. Così i bambini vengono
rimandati a tempi (e a stipendi) più floridi per le finanze, ma non per la
fertilità dei propri ovociti. Una pratica che inizia a diffondersi anche in
Italia sulla scia di paesi come gli Stati Uniti, o anche dell’Europa del nord.
Ma che ancora non è molto conosciuta.
In Italia il congelamento degli ovociti si
collega quasi sempre a una malattia, a una donna, anche bambine, che, per
esempio, deve sottoporsi a cure che ridurranno o annienteranno la fertilità, e
vuole conservare la possibilità di diventare mamma. Legislativamente non ci
sono problemi, perché la legge italiana non ha mai posto limiti al congelamento
di uova non fertilizzate.
IL MEDICO
«Così
le probabilità di successo dell’inseminazione artificiale dopo i 40 anni crescono
del
35%»
I
COSTI DI QUESTA TECNICA
Bisogna
preventivare almeno 3000 euro, più 300 per ogni anno di conservazione in azoto
liquido
«In Italia sta crescendo, ma nonostante siamo
i primi ad avere buoni successi dal congelamento degli ovociti, la popolazione
italiana conosce poco questa cosa», spiega Andrea Borini, presidente della
Società italiana di conservazione della fertilità. «Anche se abbiamo cercato di
fare delle campagne di sensibilizzazione al problema le cose procedono
lentamente. Ed è un peccato».
«Le coppie oggi, spiega l’esperto, pensano
prima agli studi, poi al lavoro, alla casa. E la ricerca dei figli si è
spostata sempre più avanti, oltre i trent’anni. Quando poi si hanno difficoltà
e ci si rivolge alla fecondazione artificiale, di solito intorno ai 37 38 anni,
le percentuali di successo diminuiscono». Se poi si arriva oltre i quarant’anni
le cose precipitano (il nostro Paese ha il primato dei parti in età matura,
4,6% dopo i 40 anni, il doppio che in Francia, Spagna, Olanda, Svezia, Danimarca,
Stati Uniti). «Basti pensare che dai 43 anni la percentuale di successo è al 5
per cento», spiega Borini. «Se queste donne - continua l’esperto - avessero
congelato gli ovociti a 25 anni potrebbero usarli mantenendo una percentuale di
successo intorno al 40 per cento».
Ma oggi le italiane che pensano di mettere in
sicurezza la propria fertilità lo fanno comunque tardi. «Verso i 37, 38 anni,
dopo i primi insuccessi con la fecondazione artificiale, o quando si accorgono
che non è facile trovare un uomo con cui condividere questo progetto. E a quel
punto la fertilità ha già iniziato a diminuire».
Il congelamento degli ovociti ovviamente non
è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale a meno che non sia necessario a
seguito di una malattia. E costa caro. Nel centro di Bologna Tecnobios, bisogna
preventivare intorno ai 3mila euro, più 300 euro per ogni anno di conservazione
in azoto liquido oltre il terzo. Spesso le donne che si rivolgono ai centri
italiani, sono straniere, molte statunitensi. Ma anche donne che hanno già
congelato ovuli per sottoporsi a fecondazione assistita e che decidono di
conservare il congelamento per una successiva gravidanza .Francesca è una di
loro. Ha avuto un bambino ricorrendo alla scienza in e quando è stata lasciata
dal marito per una donna più giovane, a 35 anni, non ha pensato subito a quegli
ovociti ancora congelati.
«Stavo passando un periodo bruttissimo, peggiorato
dal fatto che certa di voler dare un fratello o una sorella alla mia bambina
che a quell’epoca aveva cinque anni. Sapevo che non sarebbe stato facile
innamorarmi di un altro uomo. E che soprattutto non sarebbe stato rapido. Il
mio ginecologo, parlando, mi ha fatto pensare al fatto che avrei potuto usare
in futuro i miei ovociti. Un pensiero che mi ha tranquillizzato. Adesso aspetto
l’uomo giusto con più calma. Oggi ho 40 anni, sono ancora sola, ma sapere che
non devo rinunciare al mio sogno mi da serenità».
LA STAMPA, 19 gennaio 2013,
pag, 13
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