Istruzione La scrittrice:
colpa degli adulti, usano un linguaggio troppo povero
L’Invalsi: i nativi digitali
hanno difficoltà con i libri
Alessandra Mangiarotti
E pensare che fino a cinque
anni fa il grande salto sembrava fatto. L’ultima fotografia globale scattata
sugli alunni di dieci anni ci dice invece che le capacità di lettura dei
bambini italiani sono retrocesse al livello del 2001. Sia subito chiaro:
comunque un buon livello, visto che il nostro Paese occupa un dignitoso 18˚
posto nella classifica mondiale su 45 nazioni, ma sicuramente negativo se
rapportato al trend e alle competenze a cui ci avevano abituato le alunne di
sesso femminile: sono state infatti le bambine, storicamente e universalmente
più brave nella lettura, a peggiorare. Portando la forbice tra i due sessi a
livelli minimi: tre punti appena separano le bambine dai maschietti. Un dato
che pone l’Italia al 2˚ posto dopo la Colombia, mentre la differenza media
internazionale è di 17 punti.
La classifica Pirls è stata realizzata
dall’Iea, l’associazione internazionale per la valutazione del rendimento
scolastico. L’Italia ha riportato un punteggio medio in lettura di 541 punti,
lo stesso del 2001, mentre nel 2006 di 551: in cinque anni si sono bruciati
dieci punti. Le bambine ne hanno persi due rispetto al 2001 ma addirittura 12
rispetto al 2006. I maschietti, invece, sullo stesso periodo ne hanno persi
otto ma sul decennio ne hanno guadagnati tre (nel Centro Italia sono risultati più
bravi). Tutto questo mentre Paesi come gli Usa hanno guadagnato
complessivamente 14 punti, Hong Kong e Singapore una quarantina.
E dunque: cosa è successo ai nostri alunni di
quarta, classe in cui i bambini passano dall’imparare a leggere al
leggere per
imparare? E soprattutto cosa è successo alle bambine da sempre — per ragioni
forse culturali, qualcuno tira in ballo anche la genetica — più brave nella
lettura narrativa? Roberto Ricci, responsabile dell’area prove dell’Invalsi (il
nostro sistema di valutazione) mette in fila le ipotesi che saranno
approfondite con indagini nazionali. La prima, l’introduzione nelle prove di
testi diversi da quelli tradizionali narrativi: «Testi informativi, da quelli
giornalistici a quelli iconici». La seconda, il cosiddetto singhiozzo
statistico: «Cinque anni in cui si sono avuti bambini ma soprattutto bambine
meno bravi». La terza, una diversa predisposizione delle nuove generazioni:
«Più sensibili a testi diversi da quelli letterari: Internet, tv, giochi di
ruolo... Generazioni di nativi digitali che, alle prese con testi tradizionali
e non, hanno però gli stessi problemi di comprensione». La quarta ipotesi, la
più allarmante, un appiattimento verso il basso delle competenze: «Un
arretramento, insomma, delle categorie migliori. La nostra scuola si è
concentrata sulla popolazione scolastica più debole, ed è positivo. Lo svantaggio
è che questo ha forse portato a un appiattimento verso il basso trasformando in
un falso successo la riduzione del divario tra i sessi». I dati sembrano
confermarlo: ben l’85% degli studenti dimostra un livello intermedio, ma solo
il 10% avanzato (a fronte di un 24% di Singapore). «La scuola deve puntare
quindi su una molteplicità di testi e trovare il modo di trasformare le nozioni
in competenze».
Anche Mauro Palumbo, sociologo che si occupa
di sistemi educativi, legge nei numeri Pirls quell’«appiattimento verso il
basso che già affligge la scuola media». Poi fornisce altri due spunti di
riflessione: «La presenza sempre più alta di studenti stranieri che non
parlavano l’italiano prima di iniziare la scuola». Il 6% tra quelli che hanno
preso parte all’indagine (rispetto a un 2% della Francia, a un 3 della
Germania). «Quindi una correlazione tra competenze dei bambini e numero di
libri che hanno in casa». L’influenza maggiore che subiscono è quella
dell’ambiente culturale in cui vivono. E quello nostrano non aiuta visto che i
dati Aie ci dicono che i lettori italiani sono il 45,3%, i francesi il 70 e i
tedeschi l’82.
La scrittrice Chiara Gamberale non concorda:
«In casa mia, con mamma ragioniere e papà ingegnere, i libri li ho portati io.
Eppure...». Punta quindi il dito su quella che definisce la «sciatteria» del
nostro linguaggio: «Veloce, povero, senza grammatica. Senza storie. I grandi lo
parlano e i piccoli, le piccole più sveglie ancora di più, li copiano salvo poi
arrancare davanti a una pagina ben scritta. Se fossi nata solo cinque anni dopo
forse non sarei quella che sono: per leggere bene ci vuole concentrazione e
lentezza».
Il
sociologo
«Tra le cause i molti
studenti stranieri che non parlavano l’italiano prima di iniziare la scuola»
Corriere della Sera, 16
dicembre 2012, pag, 23
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