Da guerre e carestie la scoperta che sul nascituro
influisce anche la dieta dell’uomo
Un’alimentazione più o meno ricca addirittura durante la
pubertà modifica le capacità “espressive” del Dna. Modifiche trasmesse poi alla
prole
di Franca Porciani
Non c’erano contatti con il mondo esterno nei
rigidi mesi d’inverno a Overkalix a quei tempi. Se il raccolto era stato
abbondante, si mangiava a sufficienza, se era stato scarso, un po’ di fame era
inevitabile. È stato così fino agli inizi del Novecento in questo paese di 4.000
anime nel cuore della Lapponia svedese, la regione più a nord a ridosso del
Circolo Polare Artico, vicino al fiume Kalix, famoso per la pesca al salmone.
Quando era chiusa nella morsa del mar Baltico ghiacciato, diventava
irraggiungibile. Una situazione eccezionale che ha stimolato l’attenzione di un
genetista svedese, Lars Olov Bygren, che insieme al collega inglese Marcus
Pembrey ha correlato i certificati di nascita e di morte della popolazione (li
ha trovati a partire dal lontano 1799) con l’andamento dei raccolti, di conseguenza
con la disponibilità di cibo durante l’inverno.
Effetti imprevisti. Il risultato?
I due
ricercatori hanno scoperto che quando i ragazzi fra i nove e i dodici anni,
epoca cruciale per lo sviluppo puberale, avevano mangiato poco e male, i figli e
i nipoti, divenuti adulti, andavano incontro con minore frequenza della media a
malattie di cuore; quando, al contrario, avevano mangiato in abbondanza, nei
discendenti compariva una predisposizione al diabete (lo studio ha preso in
esame 99 individui nati a Orverkalix nel 1905,
ripercorrendo la “storia” dei loro
padri, nonni e trisavoli). Una scoperta clamorosa perché fino allora non si era pensato
che l’alimentazione potesse modificare “qualcosa” all’interno del patrimonio
genetico degli spermatozoi (le stesse conseguenze non si riscontrano prendendo
in esame l’eredità materna). Eppure di un cambiamento del genere si tratta,
visto che si è trasmesso a figli e nipoti. Rilievo confermato da studi
sull’animale da esperimento. Una bella rivoluzione rispetto a quanto ci ha
insegnato Charles Darwin, ovvero che l’ambiente con i suoi stimoli può
modificarci, ma soltanto in milioni di anni, attraverso quel mosaico di
mutazioni che punteggia il processo evolutivo. «Questo studio ha avviato un
nuovo filone di ricerche, quello sull’epigenetica (epì, sopra, in greco, e
genetica) ovvero quanto gli stimoli ambientali possono modificare le capacità
“espressive” del nostro Dna, senza arrivare a intaccarne la composizione. È una
sorta di nuova scienza, in gran parte da esplorare, che dimostra come sia forte
l’ambiente: i geni non si autocontrollano, ma sono controllati dall’ambiente, da
quanto e come mangiamo prima di tutto», spiega Liborio Stuppia, professore di
genetica medica alla facoltà di psicologia dell’università di Chieti, uno dei
primi ad interessarsi in Italia di questa nuova branca. Ma oltre agli inverni
lapponi, una vicenda a noi più vicina ci fa capire l’importanza
dell’epigenetica: la carestia olandese dell’inverno ’44-’45 quando il Paese, già
vittima dell’occupazione nazista, restò prigioniero dell’embargo sul trasporto
di cibo voluto da Hitler, che lo constrinse all’inverno “della fame”.
Hongerwinter in fiammingo; mesi in cui la gente, ridotta alla stremo, si nutrì
di gatti, ratti, alla fine di bulbi di tulipano.
L’impronta
della fame.
Un dramma oggi dimenticato che fece 30mila
morti, ma fu anche una palestra straordinaria per verificare gli effetti della
denutrizione sui discendenti di quei poveri olandesi che passarono mesi
ingerendo 500 calorie al giorno. «Negli anni 2000 sono stati rintracciati i
figli» aggiunge Stuppia; «in loro è stato riscontrato un aumento significativo,
rispetto alla media della popolazione, di malattie cardiache e di schizofrenia.
Facendo test sofisticati, si è poi dimostrato che queste persone portano dentro
“un’impronta” negativa nella regolazione di certi geni trasmessa loro dai padri
provati dalla fame quando li hanno concepiti». Ma questo danno peserà anche
sulle generazioni successive e fino a quando? È uno dei misteri da sciogliere.
Tre generazioni.
Il genetista svedese Lars Olov Bygren, autore
dello studio su Overkalix, che ha scoperto l’influenza della dieta dell’uomo
sulla prole, con il figlio Magnus e il nipote Ludvig nella sua casa a Stoccolma.
SETTE 19.10.2012, pag,
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