Giusto lasciare svegli i
bimbi nel lettino e farli piangere?
Una ricerca dice di sì e
spiega le tecniche che fanno bene ai genitori
di Simona Ravizza
Lenticchia, la pecora di peluche, è tra le
sue braccia, il fantasmino illuminato dell’Ikea ben sistemato sul comodino, la
storia di Spotty all’ennesima rilettura, ma i suoi occhi non accennano a chiudersi
e sono già le dieci di sera. Come bisogna comportarsi? È il dilemma di ogni
neomamma: è giusto lasciarlo sveglio nella culla e farlo piangere?
L’ultima risposta arriva da uno studio
appena pubblicato su Pediatrics, una delle riviste scientifiche più prestigiose
a livello internazionale dedicate alla pediatria. «Si può farlo piangere senza
ripercussioni sulla personalità futura del bimbo e senza provocargli
irreparabili danni psicologici», dicono i ricercatori australiani che hanno
condotto l’indagine coordinati da Anna Price, pediatra al Royal Children’s
Hospital di Parkville. Le strategie consigliate sono, però, soft. Lacrime,
insomma, in modo che il bambino impari ad addormentarsi da solo, ma per periodi
di tempo brevi.
Gli studiosi hanno analizzato gli effetti
dello sleep training (addestramento al sonno) adottato su un campione di 225
neonati che oggi hanno 6 anni. L’obiettivo: verificare che le tecniche fossero
sicure e senza rischi per lo sviluppo emotivo e psicologico del neonato. Il risultato
sicuramente fa tirare un sospiro di sollievo a numerose mamme: il training al
sonno — almeno nelle forme considerate più dolci — viene infatti sdoganato.
I metodi indicati, che secondo il Wall
Street Journal sono destinati ad alimentare nuovi dibattiti sull’argomento,
sono due. Uno è il controlled comforting
(il conforto controllato) che consiste nel rispondere al pianto del bimbo solo
a intervalli di tempo (regolari) in modo che impari ad auto-consolarsi. L’altro
è il camping out: il genitore si siede vicino al bambino in attesa che si
addormenti e progressivamente, sera dopo sera, si allontana sempre più dalla
culla fino ad uscire dalla cameretta.
L’addestramento al sonno, secondo i
ricercatori di Parkville, porta effetti positivi sull’addormentamento dei
neonati. E non solo: anche le neomamme vedono ridursi stress e sin tomi di
depressione. È musica per le orecchie di Elena Sisti, mamma milanese di quattro
bimbe, con la più piccola che non ha ancora compiuto un anno: «Piuttosto le
pagherò lo psichiatra da grande, ma io devo vivere! — esclama —. L’enorme
attenzione alla psicologia del bambino troppo spesso rischia di far perdere di
vista i bisogni di chi li accudisce». «Ma se poi gli viene un brutto
carattere?», si domanda Serena Battiloro, napoletana, mamma di Tommaso.
Qual è la soluzione migliore? Difficile
dirlo. Il sonno dei bambini alimenta la letteratura da decenni. Il pioniere dei
manuali sull’argomento fu Benjamin Spock, che con 40 milioni di copie vendute
in tutto il mondo del suo Il bebè e la cura del bambino, pubblicato per la
prima volta nel 1946, suggerì di non farsi intimidire troppo dalle lacrime del
pupo che non vuole chiudere gli occhi. La maggior parte dei bimbi — è la tesi —
piangerà per mezz’ora al massimo la prima notte poi, vedendo che non serve a
nulla, si addormenterà.
È l’approccio del crying it out, ossia il
lasciar piangere fino in fondo il bebè, poi teorizzato dallo spagnolo Eduard
Estivill, studioso del sonno, nel famoso libro Fate la nanna (Mandragora 1999).
Ma un conto è la teoria, un’altra la pratica: «Per adottare il metodo di Fate
la nanna, bisogna essere tutti d’accordo, possibilmente anche i vicini di
sotto, sopra e di fianco — dice Chiara Basaglia, mantovana, due figli —. E’ per
questo che ho rinunciato dopo la prima sera».
Le strategie indicate nel nuovo studio
australiano sono decisamente più delicate. Del resto, ogni bimbo è diverso e
l’importante è cercare di decifrare i suoi bisogni, come ben ha spiegato la
puericultrice inglese Tracy Hogg, autrice del libro Il linguaggio segreto dei
neonati (2004).
Notti insonni, pianti e vagiti sono destinati
ad alimentare conversazioni infinite su Internet e ai giardinetti. «Ma i figli
non saranno per sempre teneri bebè da consolare tra le braccia — continua
Chiara Basaglia —. E allora, perché perdere questa meravigliosa occasione per
coccolarli?». Fabio Mosca, primario di Neonatologia della clinica Mangiagalli di
Milano, spinge a prendere in considerazioni questioni più serie: «Più che
sull’addestramento al sonno bisogna concentrarsi sulle regole per il sonno
sicuro, troppo spesso trascurate non solo dai genitori, ma anche da molti siti
Internet sul tema». Attenzione, dunque, alla posizione del bimbo (che
dev’essere rigorosamente a pancia in su), al materasso duro, al cuscino anti soffoco,
alla temperatura (non superiore ai 18-20 gradi) e a non metterli a letto troppo
coperti.
p.s./1 Mia figlia Clotilde, 4 anni, non ce
l’ho mai fatta a lasciarla piangere. Neppure per un minuto. Avrò sbagliato
tutto?
p.s./2 La mia amica Lea mi corregge: è solo
perché per ora è figlia unica, al terzo bimbo cambia tutto.
Con pochi sensi di colpa e
la consapevolezza che bisogna pensare anche a se stesse.
Corriere della Sera, 22 settembre
2012, pag, 49
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