Incinta, salvata dall’ictus con una sonda

Eccezionale intervento alle Molinette: una quarantunenne torna a casa senza neppure i segni della paralisi

I medici sono riusciti a rimuovere il trombo di sangue salvando la donna e il feto in grembo da nove settimane

di Marco Accossato

  Colpita da un ictus nel sonno, una donna torinese di 41 anni è stata salvata dai medici delle Molinette che sono riusciti a «disintegrare» ed estrarre il trombo che le ostruiva l’arteria senza utilizzare il bisturi, ma attraverso una piccola sonda inserita nella femorale. La donna, incinta alla nona settimana, non avrebbe potuto essere salvata con l’utilizzo di un farmaco e della trombolisi, tecnica che ha proprio nella gravidanza una delle principali controindicazioni. Alessandra non perderà il suo bambino, e cinque giorni dopo l’intervento compiuto dal professor Mauro Bergui, responsabile della Neuroradiologia, ha potuto tornare a casa: la paralisi totale della parte destra del corpo è scomparsa, e anche le piccole difficoltà di parola che ancora restano «probabilmente spariranno rapidamente», sono ottimisti i medici.

    L’emergenza
  «Un miracolo», dice il compagno della donna, Filippo, che appena sveglio si è accorto che qualcosa non andava e ha dato l’allarme al 118. La procedura utilizzata alle Molinette - centro di riferimento regionale per la trombolisi e sede della Stroke Unit - è stata introdotta tre anni fa nel principale ospedale del Piemonte. Niente bisturi né apertura della scatola cranica. Spiega il professor Bergui: «La tecnica è molto simile a quanto viene fatto dai cardiologi interventisti per liberare un’arteria del cuore occlusa. Si introduce con una sonda-guida uno stent, cioè una retìna a forma di cilindro: mentre però in cardiologia la retìna comprime e “spalma” il trombo lungo la parete occlusa, perché il danno è della parete dell’arteria, nel nostro caso si utilizza come “canna da pesca” per “agganciare” e asportare il grumo che ostacola il flusso sanguigno».
  L’intervento
  L’intervento dura circa un’ora. Alessandra deve la vita ai medici delle Molinette, ma anche a Filippo, il suo compagno, che ha chiesto immediatamente aiuto. L’ictus l’aveva colpita diverse ore prima, nel sonno: non muoveva più nulla della parte destra del corpo, non riusciva ad alzarsi dal letto, né a parlare e a rispondere alle domande del compagno. L’uomo ha chiamato l’ambulanza, che ha portato d’urgenza Alessandra al pronto soccorso del Mauriziano. Qui, diagnosticato l’ictus, si è deciso di trasferirla alle Molinette, affidandola ai neuroradiologi.

   La situazione è apparsa subito gravissima, e anche per questo la sua guarigione totale appare oggi come una notizia straordinaria. «In casi come questi - ricordano in ospedale - il rischio di morte è praticamente del 50 per cento, un paziente su due non ce la fa a sopravvivere». Nel 90 per cento dei casi la prospettiva è quella di una disabilità grave. Ma nel caso di Alessandra c’era un elemento in più, da considerare prima di scegliere come intervenire: il feto. La probabilità di perdere un figlio in grembo altissima, in circostanze simili, «molto vicina all’80 per cento», calcolano sempre alle Molinette. I neuroradiologi dell’équipe del professor Bergui, inoltre, non sapevano quante ore prima la paziente fosse stata colpita dall’ictus. Così, senza perdere tempo prezioso, sono intervenuti immediatamente, salvando sia la donna sia il figlio.

   Il recupero
  Alessandra è rimasta ricoverata nella Stroke Unit del professor Paolo Cerrato per i cinque giorni successivi: il centro, con letti monitorizzati e personale specializzato, è il primo centro piemontese interamente dedicato ai pazienti colpiti da ictus. Qui Alessandra è stata seguita insieme al bimbo che ha in grembo e dimessa alcuni giorni fa. Si stanca ancora facilmente, ma per i medici è una vittoria straordinaria: «Le sue condizioni, appena arrivata in ospedale - commenta Cerrato - erano talmente gravi che potevano far pensare al peggio».

  Quando la speranza è una questione di tempo
  Nel caso dell’ictus, come nell’infarto, il tempo è determinante per salvare una persona: lo «stroke» è la prima causa di invalidità permanente in Italia, la seconda di demenza e la terza di morte. Ogni anno vengono colpite circa 200 mila persone.

La Stampa, 8 luglio 2012. pag, 52

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