Quei piccoli tiranni condannati a non crescere

La provocazione dello psicanalista Naouri: la necessità di un «ritorno all’autorità»
di Paolo Di Stefano
  I genitori di Nicolas sono molto preoccupati: il loro figlio di sette anni è insopportabile. Fa sempre di testa sua, non vuole saperne di ubbidire, discute gli ordini di mamma e papà, vuole sempre avere l’ultima parola, tormenta il fratellino e il gatto. Quando la coppia, con Nicolas, si presenta dal pediatra per esporgli questi problemi a loro detta pressoché insuperabili, il piccolo tiranno li ascolta con indifferenza e, chiamato in causa dal dottore, appronta una vera e propria requisitoria: «Le sembra giusto che mia madre si rifiuti di prendermi un paio di scarpe da ginnastica da 105 euro, mentre lei si compra un vestito da 130?». A quel punto, la madre distoglie lo sguardo dal medico e il padre esclama: «Non si può dire che il ragazzino non sia intelligente, non le pare?». È più preoccupante la strafottenza del bambino o la reazione dei genitori? Se lo chiede lo psicoanalista e pediatra francese Aldo Naouri, ritenuto un’autorità (non sempre condivisa) delle dinamiche familiari, in apertura del suo nuovo libro, dal titolo già di per sé molto efficace: Piccoli tiranni (non) crescono, pubblicato da Codice Edizioni (in realtà il titolo originale era molto più moscio: Educare i propri figli).
  Una prima risposta è questa: il bambino maleducato oggi è per definizione (di mamma e papà) problematico. È da anni (e da parecchi libri ormai) che il settantacinquenne Naouri, emigrato ben presto dalla Libia a Parigi, si occupa del
contesto in cui vivono i bambini nel mondo d’oggi. Sempre con l’obiettivo, avverte, di aiutare i genitori ad acquisire gli strumenti che consentano ai loro figli di crescere meglio. Dal che si passa alla seconda risposta: i nostri bambini non sono fisiologicamente diversi da quelli di trent’anni fa, hanno gli stessi bisogni e li esprimono negli stessi modi; ciò che è cambiato radicalmente, invece, sono le reazioni dei genitori.
  La tesi di Naouri è questa. Un tempo, il papà di Nicolas gli avrebbe fatto capire con le buone o con le cattive che «nella vita non si può avere tutto», magari procurandogli qualche frustrazione ma spingendolo a impegnarsi per conquistare quell’irraggiungibile «tutto». La «società dell’abbondanza» ha il grave torto di confondere la frustrazione con la privazione, capovolgendo il «non si può avere tutto» in un messaggio di generosità (e di resa a 360 gradi: «Non solo puoi avere tutto,ma ne hai anche diritto». Sollecitudine, vicinanza, comprensione diventano pigra compiacenza o pigrizia compiacente, la quale finisce per ritorcersi non solo e non tanto contro i genitori, ma soprattutto contro il bambino che non trovando ostacoli alla propria crescita semplicemente non cresce: se il «tutto» è a portata di mano senza ostacoli, non serve impegnarsi. Basterà urlare, fare i capricci, puntare i piedi per ottenere ciò che desideri. Quella che Naouri chiama «infantolatria», che si traduce in una carenza educativa di base, avrà conseguenze nefaste quando il  a ragazzino si confronterà con l’universo scolastico e poi con la società. Sarà a quel punto che il "piccolo tiranno" scoprirà tutte le sue fragilità, incapacità, angosce, magari violenze o pulsioni autodistruttive. Naouri non vuole certo esaltare la pratica tradizionale del calcio-nel-sedere, giura invece (più sottilmente?) sul naturale riscatto dalla frustrazione e sulle capacità di adattamento del bambino. Il suo credo è questo: il piccolo avrà una crescita serena e una maturazione armonica solo se lo si porterà a rinunciare all’esercizio della sua onnipotenza. Certo si tratterà di comprendere come.
  A questo proposito, si sarà capito che il libro di cui stiamo parlando non è un prontuario prescrittivo e neanche una guida per exempla e aneddoti (tipo I «no» che aiutano a crescere), ma qualcosa di più: un’analisi della società vista dalla specola familiare. Ciò non toglie che la seconda parte del volume contenga anche consigli utili ad affrontare casi specifici, dal ritmo dei pasti del neonato, ai disturbi del sonno (il «reflusso gastro-esofageo » è una vera epidemia recente, secondo il pediatra). Con suggerimenti ragionevoli su come comunicare la malattia o il decesso di un nonno, su come reagire alle prime parolacce, alle violenze o alle bugie. Certo, non è indispensabile il carisma di Naouri per intuire che «raccogliere dieci volte di seguito il cucchiaino che il bambino di 11 o 13 mesi butta per terra non è una prova d’amore o tenerezza e disponibilità». Ma è un esempio che rende l’idea. Come rende l’idea l’ironia sul messaggio di parlare con i figli diffuso a suo tempo dalla filosofia di Françoise Dolto. È assurdo, constata Naouri, quanti genitori si sentano obbligati, in ogni circostanza e luogo, a parlare in continuazione con il loro pargolo: «Ora ti slaccio la tutina…,ora ti rigiro sulla pancia… ora ti sfilo la gamba destra, e la sinistra…». Davvero  insopportabile!, esclama giustamente.
  E per finire, leggete questo dialoghetto: «Dottore, come posso far capire alla bambina che è ora di andare a letto quando mi dice che vuole continuare a guardare la tv?». «Basta spegnere la tv, signora». «Dottore, ma lei la riaccende!». Si trattava, racconta Naouri, di una madre non alle prese con un’adolescente ribelle, ma con una bambina di 23 mesi che pesa meno di dieci chili.
Corriere della Sera, 11 Giugno 2011, pag.45

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