Se l’intelligenza consiste nel
realizzare connessioni, sarà potenziata dall’attivazione di più circuiti
neuronali
di Silvia Vegetti Finzi
Chi tra i genitori non si è mai sentito dire
da un insegnante del figlio: «Va bene ma non sta attento»? L’attenzione è così
valorizzata socialmente da condannare il suo opposto, la disattenzione, come
fosse una colpa o un sintomo. In realtà le due facoltà si intrecciano e si
relativizzano e un buon funzionamento dell’apparato psichico deve essere in
grado di utilizzare entrambe. La capacità di attenzione fa parte del patrimonio
genetico di tutti gli animali: sollecitata da un segnale di pericolo (ad
esempio prossimità di un predatore) o da un bisogno vitale (ad esempio ricerca
del cibo), induce un atteggiamento di vigilanza che, benché necessario, tende a
diminuire con la ripetizione degli stimoli.
Per quanto riguarda il funzionamento mentale,
è interessante osservare che l’attenzione è il risultato di una operazione di
sottrazione che si attua inibendo le percezioni ritenute irrilevanti,
selezionando quelle utili e concentrandosi sullo stimolo essenziale. Nella
esperienza umana, dove i casi di allarme sono piuttosto rari, l’attenzione non
è tanto connessa alla sopravvivenza quanto all’acculturazione, alle dinamiche
di apprendimento, soprattutto scolastiche.
La disposizione all’attenzione fa parte del
temperamento individuale ma risente del clima culturale e delle motivazioni che
la sostengono. Nelle nostre istituzioni scolastiche, basate sulla sequenza
insegnamento-apprendimento-valutazione, l’attenzione puntuale costituisce una
esigenza fondamentale, a scapito della fantasia, sempre vagante, e degli
interessi personali, non programmabili. Ma, come giustamente avverte ora una
ricerca americana — realizzata dall’University del Wisconsin — enfatizzando la concentrazione
mentale, qualche cosa viene perduto. Ed è la capacità di cogliere ed elaborare
più stimoli contemporaneamente, di seguire due percorsi ideativi, di
comprendere empaticamente le emozioni proprie e altrui. Pare che le persone più
distratte abbiano una miglior memoria operativa e che i «sognatori a occhi
aperti» siano più creativi. Se l’intelligenza consiste soprattutto nel
realizzare connessioni, sarà potenziata dall’attivazione di più circuiti
neuronali e cerebrali. Naturalmente finché sussiste un certo equilibrio tra le
due facoltà ed è possibile passare dall’una all’altra; si cade altrimenti nella
patologia del delirio o della depressione acuta. Credo infine che l’elogio
della distrazione contenga una critica alla nostra società che, come narra
Pirandello nella novella omonima, costringe in un’unica maschera o ruolo
sociale, il flusso continuo della nostra vita. In questo senso la capacità di
«distrarsi» assume anche il significato di sottrarsi alle prescrizioni e alle
preoccupazioni quotidiane per acquisire gradi di libertà, di piacere e, talora,
di felicità.
La
canzone numeri Negramaro
Sembra facile Ma intanto è
così difficile Parlar di noi due Con la tua testa tra le gambe Così stanchi di
noi due Che non abbiam voglia di noi due E non sappiamo più volare Con le gambe
così stanche La distrazione Sta nelle cose Il tuo dolore Sull’orlo delle cose che
io sento
Conquiste
La capacità di attenzione si
acquisisce attorno ai 7 anni
A
scuola
Il nostro sistema scolastico
enfatizza la concentrazione mentale. Ma così facendo, qualcosa va perduto
Corriere della Sera, 18 marzo
2012, pag, 26
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