Abbiamo il diritto di non mandare i figli a lezione di educazione sessuale

di Costanza Miriano

Se io proponessi al ministro Giannini di mandare nelle scuole insegnanti di metodi naturali a parlare di castità prematrimoniale (che tra l’altro risolverebbe alla grande il problema delle malattie sessualmente
trasmissibili e delle gravidanze indesiderate, per non parlare del problema del rispetto), lei obietterebbe sicuramente, e a ragione, che non tutti i genitori sono d’accordo con questa idea della sessualità (che peraltro ha seri fondamenti filosofici – propongo “Amore e responsabilità” come testo scolastico – e circa duemilacinquecento anni di storia, a differenza delle teorie di genere). Allo stesso modo, io non voglio che le associazioni impegnate nell’educazione di genere vadano a raccontare ai miei figli che “basta l’amore”, o che altri vadano a spiegare loro come si usa il preservativo (già lo hanno fatto, peraltro, grazie), insegnando un’idea della sessualità autoreferenziale e orientata al piacere, il cui unico ostacolo sono malattie e gravidanze. Se proprio si deve, pretendo – e mi sembra il minimo – di essere informata su chi parlerà ai miei figli, e su cosa dirà, e di avere la possibilità di negare il mio consenso: questo ancora non ci è stato garantito. Eppure, dagli anni Ottanta è possibile pretendere che i figli non ricevano educazione religiosa a scuola (anche se un ragazzo che non abbia almeno i fondamentali di cultura cattolica non capisce un fico secco di tutta la cultura europea fino al ’900). Quindi i nostri bambini potrebbero essere costretti – anche alla scuola dell’obbligo, e sottolineo obbligo (se non ci mandi i tuoi figli commetti un reato) – ad assistere a lezioni dai contenuti profondamente contrari alle nostre convinzioni, in materie non facoltative. L’associazione che il ministro Giannini, per esempio, cita nella sua intervista, “L’Ombelico”, vanta nella sua bibliografia testi come “Piccolo Uovo”, popolati da bambini con due mamme (rilevo la falsità che si
insegnerebbe a scuola: nessun bambino ha due mamme, da un punto di vista scientifico; casomai due persone che gli vogliono bene, anche moltissimo, ma non due mamme, e chiamarle così denuncia una precisa scelta). Vorrei anche sollevare il problema della libertà religiosa che sarebbe negata ai cittadini musulmani, anche loro obbligati a mandare i figli a scuola, e credo pochissimo favorevoli a certe visioni della sessualità (dice il ministro che queste lezioni serviranno anche a liberarci dal tabu del topless, ma io questo tabu non lo vedo, mi pare che si sbattano tette in faccia dappertutto, bambini compresi, e non ho nulla in contrario).
Ma il punto ancora più fondamentale è che non c’è un modo per insegnare ad amare, non con delle lezioni. La scuola però può fare molto in questo senso: rompersi la testa su Tacito o su Eschilo (senza
traduttore, se possibile), stare lì due ore su una frase perché non si era visto uno iota sottoscritto, o combattere con un problema di fisica (senza chiedere la soluzione su Whatsapp, se possibile), o imparare a memoria Dante e innamorarsi della bellezza, questo sì che insegna ai ragazzi il rispetto,
perché insegna il proprio limite, insegna ad alzare lo sguardo. Il sacrificio insegna ad amare, perché amare è appunto – al contrario della vulgata dell’amore romantico prevalsa in occidente – non far
prevalere emozioni sentimenti e pulsioni, ma educare al giudizio il proprio cuore. E’ scegliere una persona e cercare di voler bene al suo destino. A questo serve più fare fatica con la chimica o anche, alle elementari, un dettato pieno di h e apostrofi, che la favoletta del piccolo uovo. Oggi i libri di scuola sembrano fatti per divertire i bambini, conquistarli, distrarli. Non si fanno più dettati e aste e pallini, non a caso abbiamo un’epidemia di disgrafici discalculici e dislessici, quasi sempre inadeguatamente
assistiti dagli insegnanti di sostegno (devolviamo i fondi dell’educazione sessuale a questa causa ben più urgente). Ma non abbiamo bisogno di bambini divertiti e distratti, a scuola. Abbiamo bisogno

di bambini che imparino a faticare, a vedere la bellezza nascosta, e anche grazie a questo ad amare seriamente.

Il Foglio Quotidiano, 14 settembre 2016, pag. 2

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