«Il premio a Yamanaka per le
cellule riprogrammate è più che meritato.
Così a Milano stiamo lavorando per
renderlo sicuro» Parla il biologo Luigi Anastasia
di Enrico Negrotti
l premio Nobel per la medicina 2012 assegnato
al ricercatore giapponese Shinya Yamanaka e al suo "precursore"
inglese John Gurdon ha riportato di attualità ricerche specialistiche in cui
sono riposte grandi speranze. «È un Nobel più che meritato», dice Luigi
Anastasia, direttore del Laboratorio di cellule staminali per l’ingegneria
tissutale dell’Irccs Policlinico San Donato, nonché docente di Biologia
all’Università di Milano.
Che significato ha il Nobel a Yamanaka per
voi scienziati che lavorate in questo campo?
Sta a dimostrare che la comunità scientifica
ha accolto la nuova possibilità di riprogrammare le cellule adulte in cellule
staminali come una tecnologia che potrebbe avere ripercussioni incredibili
sull’umanità. Yamanaka ha ammesso che è un po’ ancora una scommessa: è una tecnologia
che ha aperto una strada molto promettente, adesso dobbiamo cominciare a
percorrerla. I risultati si vedranno tra qualche anno.
E per il cittadino comune?
Questa tecnologia ha già dimostrato che è possibile
(e a breve si farà) a partire da cellule di un paziente creare in laboratorio cellule
di tessuto adulto molto simili (perché hanno lo stesso corredo genico) su cui effettuare
studi: se una patologia può avere diverse cure si potrà testare in laboratorio
l’efficacia di un farmaco prima di darlo al paziente, e selezionare la cura
migliore. A lungo termine si cerca la possibilità di utilizzare le staminali
riprogrammate in una terapia cellulare. Ci vuole più tempo: queste cellule
hanno tutte le problematiche tecniche delle staminali embrionali.
Quali sono i problemi?
Per poter riprogrammare una cellula bisogna
riaccendere l’espressione di alcuni geni, che sono attivi solamente
nelle
staminali embrionali e che, mano a mano che l’embrione si sviluppa e si formano
le cellule più differenziate, vengono spenti. L’idea di Yamanaka è stata di
riaccendere questi geni embrionali, e questo ha permesso che tutta la cellula
si riprogrammasse. Usando vettori lentivirali (virus) ha inserito copie di
questi geni (anche oncogeni) che fossero sempre accese. Ma questo ovviamente
provoca la formazione di una cellula transgenica. Poi si è cercato di
utilizzare altri geni oppure di accendere questi geni non in modo stabile, ma
transitorio: cioè inserire geni per un periodo breve in cui la cellula si
riprogramma, poi farli spegnere. Queste alternative hanno il vantaggio di
essere un po’ più sicure, ma hanno il difetto che sono ancora meno efficienti rispetto
al metodo di Yamanaka. Si è poi provato a inserire le proteine che vengono espresse
da questi geni, ma ancora l’efficienza non era molto elevata.
Il vostro metodo in cosa consiste?
Vogliamo provare un approccio chimico: dare
molecole (farmaci) che vadano a riattivare l’espressione dei geni spenti
durante lo sviluppo. Secondo noi è la strada più sicura, ma è anche più
difficile perché si deve riuscire a trovare una molecola che accenda o spenga
solo il gene che serve, senza toccare gli altri.
La riprogrammazione dove porterà?
Già ora molti scienziati
cercano di utilizzare la "riprogrammazione diretta": invece di
tornare allo stadio embrionale, accendendo geni particolari si può trasformare
una cellula della pelle in una cardiaca o in un neurone. È una tecnologia
"figlia" della scoperta di Yamanaka. La soluzione migliore potrebbe
essere quella di giungere a uno stadio indifferenziato ma meno
"spinto". E se queste tecniche di riprogrammazione si affinano, si
potrebbe un giorno dare al paziente una molecola in grado di riprogrammare le
cellule senza che queste vengano prelevate dall’organo, amplificate in laboratorio,
riprogrammate e reiniettate.
Si possono ritenere ormai inutili le cellule
embrionali per gli studi e le terapie?
Personalmente, come scienziato, credo che le
cellule staminali embrionali o le cellule staminali riprogrammate siano
tecnicamente – a oggi – troppo difficili da controllare nel differenziamento
perché siano la strada da percorrere. Se riusciamo ad affinare la tecnologia di
Yamanaka potremo creare cellule a uno stato di differenziamento superiore alle
embrionali ma utili per i pazienti in tempo ragionevole. La scoperta di
Yamanaka ci allontana dalla ricerca sulle cellule staminali embrionali, perché
dimostra come sia più semplice lavorare con cellule adulte che noi siamo in grado
di riprogrammare direttamente verso la cellula che serve al paziente. È assurdo
spendere un sacco di soldi su ricerche che sono lontane anni luce da
un’applicazione clinica. Credo che sia importante concentrare gli sforzi verso
ciò che è più promettente.
Avvenire, 11 ottobre 2012
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