No dei vescovi colombiani
alla proposta di una totale depenalizzazione dell’interruzione volontaria di
gravidanza
BOGOTÁ, 11. In Colombia la proposta di
rendere più permissiva la legislazione in materia di interruzione volontaria di
gravidanza ha provocato dure reazioni da parte della Chiesa cattolica. Nel
Paese l’aborto è consentito quando esiste un rischio per la vita della madre,
quando la gravidanza è frutto di una violenza sessuale e in caso di
malformazione provata del feto. Ma c’è chi vorrebbe eliminare dal codice penale
l’aborto come delitto e arrivare dunque a una sua totale depenalizzazione.
L’aborto — ha detto giorni fa il segretario generale della Conferenza
episcopale, José Daniel Falla Robles, vescovo ausiliare di Cali — «non è un
diritto fondamentale, non esiste alcun trattato internazionale che lo riconosca
come tale e non si può obbligare uno Stato a inserire nella Costituzione una
tale disposizione».
Soprattutto adesso, all’inizio cioè di un
processo di pace che pretende di porre fine al conflitto armato, ha spiegato il
presule, «è necessario ricordare che una società giusta deve affermare, promuovere
e custodire il primo dei diritti fondamentali della persona umana: il diritto
alla vita». Monsignor Falla Robles ha parlato in occasione della presentazione
del messaggio Por la vida y por la mujer, con il quale
i vescovi colombiani si concentrano sul rispetto della vita, come cammino per
la pace, e sul rispetto della dignità e dei diritti della donna:
«Nella maggior
parte dei casi — scrivono — la donna si vede costretta ad abortire a causa di
circostanze deplorevoli come la mancanza di un’adeguata formazione sessuale e
affettiva, maltrattamenti e abbandono, e varie forme di pressione sociale e
familiare». I presuli denunciano il disprezzo, nella società, dei più
elementari diritti delle donne, che si manifesta con la scarsa considerazione
della loro vocazione alla trasmissione della vita, del loro lavoro, con
aggressioni fisiche e abusi sessuali. Allo Stato si chiede di studiare
specifiche politiche di sostegno alle madri e ai loro figli, sottolineando che
«la donna è un’ulteriore vittima dell’aborto» e ricordando «le profonde ferite
psicologiche ed emotive» lasciate dall’aborto in tante di esse.
Il messaggio porta la firma dell’arcivescovo
di Bogotá, Rubén Salazar Gómez, presidente della Conferenza episcopale, il
quale invita tutti a impegnarsi con coerenza e decisione verso l’obiettivo
della costruzione di «una nuova cultura della vita». Serve per questo una
mobilitazione urgente delle coscienze e uno sforzo comune per mettere in
pratica una strategia a favore della vita e della dignità umana, che vanno
difese dal concepimento fino alla morte naturale.
L’aborto è «il più grande attentato contro i
deboli» e legalizzarlo significa convertire la legge in “pietra d’inciampo” o
di scandalo per i più indifesi della Colombia, ha scritto in una nota l’arcivescovo
di Cali, Darío de Jesús Monsalve Mejía, il quale parla apertamente di «male
morale». Senza protezione della vita umana, in modo integrale, senza ricerche
scientifiche ed eugenetiche in grado di trovare una soluzione alle cause che
conducono all’effetto «disastroso» che è l’aborto, al successivo trauma e alle
conseguenze indelebili nella donna, nella coppia e nella coscienza sociale,
«non avremo per nulla chiaro il nostro futuro». E «l’oscurità ecologica che
oggi ci avvolge — continua il presule — vorrebbe convertire l’aborto in un
diritto, nascondendo nell’ideologizzazione dei diritti umani siffatto male
morale».
E in una nota pastorale, diffusa sempre nei
giorni scorsi, il vescovo di Líbano-Honda, José Miguel Gómez Rodríguez, esprime
la sua preoccupazione per la campagna di «rabbia e odio» contro la Chiesa
cattolica scatenata nell’opinione pubblica da coloro che vorrebbero una
legislazione più permissiva sull’aborto e che se la sono presa con i cattolici
scesi in piazza per difendere i loro valori e la loro tradizione. «L’aborto —
scrive il presule — prima di essere un tema religioso è argomento filosofico ed
etico. La scienza, evidentemente, ha voce in capitolo su esso ma non può
arrogarsi la funzione di stabilire i principi per i quali si potrebbe
giustificare un atto come questo».
L’Osservatore Romano,
venerdì 12 ottobre 2012, pag, 5
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