I bambini sono sempre al centro
dei pensieri di Anna Grazia, e loro lo sanno, regalandole spesso disegni che
lei si porta a casa. «Sono grandi
soddisfazioni: significa che
per loro il ricovero non è stato un trauma. Però devo ammettere che avrei dei
problemi in un reparto oncologico
di Giuseppe Culicchia

All’epoca, negli ospedali le infermiere diplomate
erano poche: nei vari reparti operavano soprattutto suore e infermiere generiche.
«Dopo il diploma, ho subito trovato lavoro proprio al Regina Margherita: allora
le candidate non erano troppe. E ho subito scoperto che non c’erano molte
differenze rispetto a quello che mi avevano insegnato al corso, durante il
quale avevamo fatto molta pratica nei reparti con suore, caposala e infermiere
generiche. Perché oltre alle lezioni teoriche, impartite di pomeriggio, c’erano
i turni di notte, della durata di dieci ore».
Qual è la parte più difficile, nel lavoro di
un’infermiera? «Il rapporto col pubblico», sorride la signora Anna Grazia,
senza esitare. «Siamo sempre di corsa, e tutti osservano quel che facciamo. E’
importante non solo rispettare le procedure ma comunicare con i piccoli
ricoverati e con le loro mamme, che vivono una situazione stressante. Poi ci
sono le difficoltà legate al fatto che oggi molti pazienti sono stranieri, e
hanno abitudini alimentari e usanze diverse dalle nostre».Poi c’è la fatica
fisica. «Il turno di notte è il turno di notte. E durante le festività un ospedale
non chiude mai. Rispetto a tante mie colleghe più giovani io sono più
fortunata, perché non ho più bambini miei a cui badare».
I bambini sono sempre al centro dei pensieri
di Anna Grazia, e loro lo sanno, regalandole spesso disegni che lei si porta a casa.
«Sono grandi soddisfazioni: significa che per loro il ricovero non è stato un
trauma. In realtà poi ci insegnano un sacco di cose. A cominciare dal fatto che
vivono l’attimo, sono concentrati sul qui e ora. Per fortuna col tempo ho
imparato anch’io a essere presente sul momento e a non portarmi a casa, oltre
ai disegni, anche il lavoro. Tuttavia, devo ammettere che avrei dei problemi in
un reparto oncologico: i bambini a cui ho visto diagnosticare un tumore me li
ricordo tutti, non si possono dimenticare».
La nottata tipo, per un’infermiera, è
scandita da mansioni precise. Ma non solo. «Si arriva alle 21, si prendono le
consegne dalle colleghe che smontano e si vede se ci sono delle terapie da somministrare
al di fuori degli orari standard. Poi si mettono a posto le cartelle dei
ricoverati, si fa il giro con la pila, si controllano le flebo e di pari passo
si aggiornano le cartelle per l’indomani. In tutto questo, c’è il campanello che
suona, e ci sono i nuovi arrivi che passano dal pronto soccorso». Insomma, non
ci si annoia. «Decisamente no», sorride Anna Grazia.
Quanto conta la pazienza nel vostro lavoro?
«Molto. Ma un’altra qualità essenziale è sapersi esimere dal giudicare il
prossimo ». Il reparto pediatria dell’ospedale Martini, diretto dal primario
dottoressa Capalbo, mette a disposizione dei piccoli degenti una grande sala
giochi. «Abbiamo cercato di creare un reparto umano: è fondamentale che la
giornata dei bambini ricoverati non sia scandita solo da visite e cure. Le
nostre maestre sono bravissime». Com’è cambiata Torino, vista da un ospedale? «Rispetto
a quella in cui ho iniziato a lavorare, è un’altra città. Allora nei reparti si
sentivano i dialetti italiani, oggi le lingue di tutto il mondo». E alle colleghe
più giovani che cosa consiglia? «Di ricordarsi che alcuni nostri piccoli
pazienti magari studieranno medicina, e forse un giorno saranno loro a curare noi».
La Stampa, 10 Novembre 2011,
pag, 75
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